Muore dopo l'intervento con il palloncino allo stomaco: dodici indagati

Muore dopo l'intervento con il palloncino allo stomaco: dodici indagati
Tutto da rifare per la conclusione delle indagini preliminari sulla morte di Nadia De Prophetis, la 43enne di Arsita, originaria di Befaro di Castelli, ex dipendente della...

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Tutto da rifare per la conclusione delle indagini preliminari sulla morte di Nadia De Prophetis, la 43enne di Arsita, originaria di Befaro di Castelli, ex dipendente della Lazzaroni di Isola del Gran Sasso e moglie di un carabiniere, deceduta sotto i ferri all'ospedale di Teramo mentre i medici tentavano di salvarle la vita dopo un'operazione allo stomaco andata male all'ospedale di Atri. Il giudice per l'udienza preliminare Roberto Veneziano, chiamato ieri a decidere se mandare o meno a processo dodici imputati tra medici, chirurghi e infermieri dei due presidi ospedalieri della Asl di Teramo, ha rilevato infatti un vizio procedurale nella contestazione del reato di responsabilità colposa per morte in ambito sanitario.


Il giudice ha dichiarato la nullità dell'imputazione coatta perché nella precedente udienza di fronte al Gip in cui è stata rigettata la richiesta d'archiviazione da parte del pm Davide Rosati c'era solo un avvocato d'ufficio e non tutti i dodici indagati con i loro legali difensori. Per tutelare il loro diritto alla difesa, il giudice ha annullato tutto: gli imputati tornano indagati, gli atti ritornano al Gip che alla presenza di tutti dovrà nuovamente decidere se archiviare l'inchiesta, così come chiesto dalla Procura, oppure chiedere di formulare una nuova imputazione coatta con la fissazione dell'udienza preliminare.

La vicenda processuale risale alla fine del 2018, quando la donna si presenta in ospedale, ad Atri, per una visita per un forte dolore allo stomaco. Le viene diagnosticata un'ulcera peptica a causa di un restringimento della valvola che divide lo stomaco dal duodeno e fissato un intervento di dilatazione pneumatica in endoscopia nel presidio ospedaliero ducale il 9 gennaio. Viene operata, ma l'intervento con la classica tecnica del palloncino non va troppo bene, visto che le causa un problema al piloro sul quale i medici decidono d'intervenire con una seconda operazione per ricucire il tessuto danneggiato.

La donna viene dimessa dall'ospedale di Atri il 15 gennaio, ma il 7 febbraio, a causa del dolore e del peggioramento delle sue condizioni, viene sottoposta ad un terzo intervento chirurgico, stavolta all'ospedale di Teramo, che però non supera. Il sostituto procuratore Davide Rosati apre l'inchiesta per accertare le eventuali responsabilità dei sanitari nella prima operazione chirurgica, nell'errata dimissione dall'ospedale di Atri e dalla tardiva operazione salva vita a Teramo, ipotizzando inizialmente la colpa medica, ma chiedendo poi l'archiviazione dell'inchiesta a carico dei dodici indagati. Archiviazione cui si oppone il marito della donna, l'appuntato dei Carabinieri Giuliano Domenicone e tutta la famiglia, che si affida all'avvocato Wania Della Vigna come parti offese. È la consulenza di parte affidata al medico legale Luigi Cipolloni a convincere il gip a non archiviare e a chiedere al pm l'imputazione coatta. Le indagini preliminari ripartiranno esattamente da quella consulenza.

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Il Messaggero