Assistette da spettatore dalla tempesta di Tangentopoli, che travolse la Balena bianca e i suoi protagonisti, e al crollo di un partito, la Democrazia cristiana, cui aveva legato...
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Insomma, un signore. De Martiis se ne è andato in punta di piedi, alla vigilia dei 93 anni che avrebbe compiuto in agosto. La sua, nelle intenzioni dei capipartito che ne appoggiarono la nomina a sindaco, sarebbe dovuta essere una stagione transitoria, funzionale a mantenere nel ventre della Balena bianca il governo di una città che, con la caduta di Piscione per le assunzioni lottizzate degli invalidi, si scopriva vulnerabile e incapace di fuggire l’arpione della magistratura che, come il capitano Achab in Moby Dick, non dava tregua nelle acque agitate della politica. Dove De Martiis navigava comunque sereno, convinto, ricorda la figlia Carla, «di dover essere non un politico, ma un amministratore».
«Il migliore assessore all’urbanistica che la città abbia avuto», sottolinea Giuseppe Quieti, all’epoca capogruppo consiliare della Dc, che non fa fatica a ricordare i meriti di De Martiis: «La prima isola pedonale in corso Umberto, dalle 15 alle 20, porta la sua firma. Come l’inaugurazione della sede universitaria di viale Pindaro, la riapertura dell’Aurum, la riqualificazione della pineta d’Avalos, la soluzione della vertenza Le Naiadi, presente fin da allora, il completamento del porto turistico». Un sindaco misurato che ai riflettori preferiva le strade di quartiere. E ancora, ricorda Quieti, una difficile seduta a Zanni con le madri coraggio che invocavano aiuto e sostegno contro il degrado e gli spacciatori: «De Martiis subì un fortissimo attacco da parte dell’opposizione comunista che, invece, rimase calmo e padrone della situazione, riuscendo a infondere in quelle persone, venute per contestarlo, speranza e fiducia nelle istituzioni».
Perché De Martiis era innanzitutto un galantuomo, come ricorda Licio Di Biase: «Michele fu tra i primi ad aderire alla Dc e subì con amarezza il suo declino. Credo avesse nostalgia della politica, non del partito». Che, tra un cambio di simbolo e l’altro, lo rispettò fino all’ultimo, senza per questo recuperarlo. «Ogni tanto, quando ero assessore all’urbanistica – racconta Marcello Antonelli - mi veniva a trovare e si interessava a quello che stavamo facendo». Lui, nato a pochi passi da casa d’Annunzio, polemizzava contro la mancata pulizia dei luoghi pubblici, specchio della città che tanto amava. E che oggi pomeriggio, alle 16 nella chiesa dello Spirito Santo, tributerà l’ultimo saluto a quello che, amici e nemici, di ieri come di oggi, definiscono una persona perbene.
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Il Messaggero