Morto il magistrato Bruno Paolo Amicarelli, fu Pm di Tangentopoli

Morto il magistrato Bruno Paolo Amicarelli, fu Pm di Tangentopoli
Ricordava quella vicenda, tra le pagine di storia giudiziaria più importanti della regione, con le parole misurate e gli occhi vividi di sempre: «Dopo aver iscritto...

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Ricordava quella vicenda, tra le pagine di storia giudiziaria più importanti della regione, con le parole misurate e gli occhi vividi di sempre: «Dopo aver iscritto la notizia di reato notai che il fascicolo era il numero uno dell’anno 1993: ecco, si volta pagina pensai». A febbraio di dieci anni fa, andando in pensione, così parlava Bruno Paolo Amicarelli, magistrato di corso lunghissimo, padre della tangentopoli d’Abruzzo, morto ieri a Pescara a 85 anni. Soffriva, negli ultimi tempi, molti acciacchi dell’età. Una vita in toga conclusa sulla poltrona di procuratore generale dell’Abruzzo e iniziata mezzo secolo prima da pretore di Vasto e poi da pm a Lanciano, Pescara, Larino, Chieti. Accusatore per vocazione, senza mai dimenticare la serenità del giudice, dote comune soltanto alle toghe di razza, e di generazioni antiche. Una storia familiare importante, profondamente abruzzese e borghese, radicata nella piccola patria di San Buono, alto vastese, dove il papà don Peppe, medico ottimo e generoso, medaglia d’oro della sanità, è venerato come un santo laico.

In una parola, un protagonista. Di un Abruzzo in eterna transizione, dall’arretratezza al pieno sviluppo, dalla marginalità assistita all’autonomia, da una struttura sociale arcaica al protagonismo non sempre specchiato di una classe dirigente interna. Una lunga cavalcata postbellica che ha faticato e fatica ancora a trovare una solida bussola nell’etica pubblica.

Contraddizioni e antinomie più volte filtrate dai fascicoli istruiti dal procuratore Bruno Paolo Amicarelli; dalla catena di scandali pescaresi degli anni Ottanta, preludio della tempesta generale di Mani pulite, fino alle repliche del nuovo millennio osservate dal ponte di comando dell’Aquila. Complessità che Amicarelli, grazie al dono di un’ironia raffinata e caustica, amava racchiudere in una delle sue fulminanti battute: «Il santo faceva le grazie e pretendeva la candela».

Più ponderatamente, il procuratore di lungo corso rifletteva: «I progressi innegabili della nostra regione sono stati interamente assistiti dalla politica, i leader della prima ondata furono appagati dalla gestione del potere e da rapide carriere ministeriali. Alla seconda leva non bastarono più gli onori, cominciò così la richiesta sistematica di compartecipazione al benessere che si diffondeva». Della sua inchiesta capolavoro, la tangentopoli di Chieti che nel 1993 decapitò il sindaco più promettente e la giunta più democristiana d’Abruzzo, nella ricostruzione storica pelosamente subordinata al meno fortunato caso giunta regionale-Pop, parlava il meno possibile e quasi sempre sotto voce: «Premesso che ci sono inchieste fortunate e altre no, la differenza è che a Chieti partimmo da un caso clamoroso come la scuola elementare Selvaiezzi. La mia intuizione di magistrato fu evitare il pantano dei dibattimenti. Proposi agli imputati di confessare, patteggiare e restituire i soldi, in cambio della sola pena per la continuazione dei reati. Oggi molti dicono: ci risiamo. Io preferisco il dubbio: ne eravamo usciti davvero?».


Con la medesima, millimetrica precisione di giudizio nell’ultima relazione da Procuratore generale Bruno Paolo Amicarelli analizzò l’insidia criminale dell’Abruzzo contemporaneo. Distinguendo tra malavita di casa, famiglie rom protagoniste del grande salto dalle estorsioni al narcotraffico e reduci delle bande di rapinatori degli anni Settanta, camorra e clan albanesi. Con il rammarico dell’uomo di giustizia, invece, fino all’ultimo ha continuato definire il caso Fabrizi la principale occasione persa dell’apparato investigativo-giudiziario. I funerali di Bruno Paolo Amicarelli si svolgeranno oggi alle 15 nella chiesa di Cristo re. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero