Long Covid, eredità della pandemia: mille pazienti a Pescara. Cure difficili

Long Covid, eredità della pandemia: mille pazienti a Pescara. Cure difficili
Stanchezza, dolori alle ossa, affaticamento, a volte fame d’aria e anche sintomi neurologici. Sono circa 1.000 i pazienti affetti da Long Covid in cura...

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Stanchezza, dolori alle ossa, affaticamento, a volte fame d’aria e anche sintomi neurologici. Sono circa 1.000 i pazienti affetti da Long Covid in cura nell’Unità complessa di malattie infettive dell’ospedale di Pescara, diretta dal dottor Giustino Parruti, medico in prima linea fin dai primi mesi dell’emergenza sanitaria. Nella struttura sono stati attivati da tempo, oltre ai servizi dedicati a pazienti affetti dall’infezione da SarsCov 2, anche un ambulatorio complesso dove viene compiuta una prima valutazione e un day hospital dedicato a chi ha già superato la fase acuta della malattia, ma non riesce a uscirne del tutto a causa di quella che viene definita la sindrome da Long Covid. È il secondo tempo della pandemia.


«All’incirca nella nostra area, come in altre dopo l’avvento della vaccinazione - spiega l’infettivologo – il rischio di sviluppare complicanze a lungo termine è sceso dallo 0,3 per cento all’1 per mille, ma è ancora elevato. La percentuale si è ridotta soprattutto nelle persone più giovani, ma non nei pazienti ad alto rischio, come anziani e fragili». 

Quella del Long Covid, «e una sindrome piuttosto complessa ed eterogenea, - spiega ancora il dottor Parruti – che si esprime in modalità piuttosto differenti». Complessivamente, si possono identificare tre gruppi di pazienti. «Il primo – aggiunge - è quello più complicato da gestire, con pazienti che sviluppano astenia o i dolori della sindrome fibromialgica acquisita. Sono circa un terzo del totale. Queste persone possono essere gestite come pazienti fibromialgici, con integratori, fisioterapia o terapia complementare. Spesso i sintomi si protraggono a lungo in circa un terzo del totale dei casi». Poi ci sono i pazienti con manifestazioni neurologiche, come parestesie, alterazioni della sensibilità, difficoltà del sistema nervoso centrale. Anche questo gruppo è piuttosto nutrito, spiega Parruti, e rappresenta circa il 10% del totale. I sintomi, in questo caso, «possono essere trattati con varie strategie, e rispondono bene a immunoglobuline e immunomodulatori».

Infine, c’è il gruppo di coloro i quali dopo aver superato la fase acuta del Covid, possono sviluppare turbe complesse del ritmo cardiaco o magari dopo un semplice colpo di freddo. «Sono quelli – osserva l’infettivologo - che a seguito di Sars-Cov 2 hanno sviluppato allergizzazione fin da primi giorni». Una situazione che «può essere misurata con biomarcatori», mentre lo stato allergico «può essere trattato con antistaminici o altri farmaci diversi dal cortisone, bloccando i disturbi dermatologici, le febbri ricorrenti e disturbi cardiologici. Le patologie neurologiche – osserva Parruti - hanno scarsa tendenza alla risoluzione spontanea, ma se trattate con immunomodulatori dopo un anno una buona metà dei pazienti ha risolto i problemi. Dopo 24 mesi, i pazienti guariti sono circa due terzi, ma c’è un terzo che non risolve».

Eppure, osserva l’infettivologo, molti casi di Long Covid si potrebbero prevenire trattando i pazienti con farmaci antivirali. «I pazienti ad alto rischio di sviluppare forme respiratorie più gravi o acute sono gli stessi che possono sviluppare Long Covid». Se una persona, raccomanda l’esperto, presenta un rischio alto di sviluppare forme gravi della malattia, deve essere valutata prima dal medico curante, poi da uno specialista per l’assunzione di farmaci antivirali. Un argomento, questo, di estrema attualità soprattutto in considerazione del fatto che con l’abbassamento delle temperature il virus sta rialzando la testa. «A Pescara – conclude Parruti – ci sono tre persone in terapia intensiva». Tutti i dati relativi al trattamento dei pazienti Long Covid entreranno a far parte di uno studio scientifico. 

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Il Messaggero