L’Aquila, la psicologa tra i ricoverati coronavirus: «Una sofferenza profonda»

La psicologa Cristina Crosti
L'AQUILA - La solitudine, la paura del futuro e della morte, la paura del virus stesso che è qualcosa che non si conosce. Sono le sensazioni e le emozioni...

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L'AQUILA - La solitudine, la paura del futuro e della morte, la paura del virus stesso che è qualcosa che non si conosce. Sono le sensazioni e le emozioni ricorrenti che vengono fuori dai pazienti malati di coronavirus. L’opera dello psicologo allevia le sofferenze, è l’unico conforto in questo momento e pure per gli operatori è una cosa assolutamente nuova.


Ancora una volta però l’associazione L’Aquila per la Vita si erge a punto di riferimento per essere vicina a chi soffre. È un contatto diretto con i malati ricoverati nell’ospedale del G8 e con i degenti dell’Hotel Cristallo, naturalmente attività concordate con i primari di malattie infettive e rianimazione, Grimaldi e Marinangeli.

L’associazione aquilana con il suo presidente Giorgio Paravano ha già messo in campo le sue migliori professionalità per essere di supporto e oltre ai 200 mila euro già donati all’ospedale ha attivato un servizio di sostegno psicologico telefonico, ma non solo, per i pazienti e per i familiari. Gli psicologi sono la dottoressa Cristina Crosti e il dottor Paolo Mastrogregori, borsisti dell’Aquila per la vita.

Oltre al servizio telefonico la dottoressa Crosti è già passata per l’ospedale e ci tornerà. Un’esperienza professionale e umana unica. Lei è mamma di due bambini. Ogni mattina li lascia e parte da Rieti, percorre chilometri di curve, per recarsi all’Aquila con il suo ricco bagaglio di professionalità ma anche con la sua forza e il suo coraggio. “I pazienti - racconta - sono in totale isolamento per cui la carenza emotiva la si nota subito, soffrono tremendamente la solitudine. L’impatto con questo mondo, compresa la vestizione, mi ha fatto comprendere quanto sia difficile ma fondamentale l’opera di medici e infermieri di ogni giorno, sono molto coraggiosi. Sono abiti in cui si respira a fatica: la tuta, la mascherina, la visiera, gli occhiali, una sensazione di chiusura incredibile”.

In questo lavoro importantissimo emergono tanti sentimenti da parte di pazienti e familiari, la sensazione di morte imminente in alcuni casi che innesca angoscia profonda. Stessa cosa accade nei familiari dei pazienti ma la cosa che emerge pure in questi ultimi è a volte un senso di colpa vero e proprio per aver contratto il virus, unito alla preoccupazione che si genere per se stessi ma pure per gli altri.


“Il nostro sostegno - spiega la psicologa - è importante perché ne traggono beneficio, da un po’ di sollievo la nostra presenza. La vicinanza, le parole di conforto che possiamo dare, l’esperienza è di certo molto forte anche umanamente. Io ero già abituata a lavorare nell’emergenza ed ho iniziato giovanissima a seguire dieci anni fa pazienti in ospedale ma anche a domicilio malati terminali. Quello che affrontiamo oggi è un qualcosa di nuovo. Abbiamo solo un contatto oculare ma neanche particolarmente intenso, siamo tutti coperti, non funzionano neanche le espressioni facciali, possiamo lavorare tanto con la voce e non si è liberi di interagire in modo tradizionale con il paziente”. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero