Il grande jazz fa vibrare L'Aquila decine di migliaia in centro storico

Le persone assiepate a San Bernardino
L'AQUILA - Una meraviglia. L’Aquila non dimenticherà mai questa domenica di fine estate, soleggiata, calda al punto giusto da non dare fastidio, vibrante come solo nei...

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L'AQUILA - Una meraviglia. L’Aquila non dimenticherà mai questa domenica di fine estate, soleggiata, calda al punto giusto da non dare fastidio, vibrante come solo nei momenti più belli.




Vedere (e soprattutto sentire) una città intera trasudare musica da ogni poro, da ogni buco o puntellamento, da ogni scorcio nuovo o ancora ferito, persino dalle absidi delle chiese, è un’emozione difficilmente descrivibile a parole. Guida tutto l’orecchio, che indirizza i passi verso le note, disegna percorsi, schiude orizzonti quasi impensabili: c’è un concerto a ogni «pizzo», basta uno slargo, non importa che sia grande. Perché ci sono le piazze che ribollono, ma anche le piazzette e persino i cortili (fantastico quello di San Domenico). Ovunque ci sono flauti, trombe, chitarre, pianoforti, sassofoni. Musica dolce e delicata, sottofondo ideale di una riflessione che va al di là della scena e dello spettacolo. Lo capisci quando incroci i turisti che si dimenano tra la carezza del jazz, lo schiaffo dei puntellamenti, la meraviglia dei restauri.



IL PERCORSO - «Guarda - dice una signora di Torino - tante cose sono state fatte. Qui c’erano solo macerie». Eccola, L’Aquila, oggi. La maratona del jazz addolcisce tutto, fa sperare che in fondo un futuro è possibile, rende bello anche ciò che ancora non lo è. Largo Tunisia è la porta del Corso, incastonato tra palazzi già rinati e negozi già riaperti. Varco quasi obbligato, prima tappa della full immersion in un percorso che dalle 19 diventa difficile, tanta è la calca. Da mattino a sera vedi gente che segue i ritmi, dondola i corpi, alza gli smartphone, applaude, fissa estasiata. Spuntano gruppi da ogni dove. A via Garibaldi, in piazza Chiarino, ai Quattro Cantoni.







C’è chi, alla stregua di quanto abbiamo imparato dai gruppi alpini, si ferma e comincia a suonare. Così, all’improvviso. Bande, gruppi e gruppetti, persino solisti. Tutto si ferma. Capannelli festanti intasano tutto: qualche minuto e si riparte.



IL CASTELLO - L’immagine di ciò che accade al Castello è di quelle forti. Gli artisti si alternano sulla sottile striscia del ponte che fende il fossato. C’è persino che si affaccia dalla cannoniera: qualche nota, un vocalizzo, un assolo. Scenari che al calar del buio sembrano disegnati. E poi, ancora l’orecchio. «Stanno cominciando anche di là, andiamo!». E la processione riparte verso la prossima tappa. La grandiosità di una cosa simile è difficile da rendere. Troppo forte il mix emozionale. I numeri sono stratosferici (seicento artisti, i migliori in Italia e gli emergenti), decine di migliaia di spettatori (i trentamila attesi sembrano pochi, onestamente), cento concerti (ma con quelli fuori programma si dovrebbe parlare almeno del triplo), una Piazza Duomo gremita come in pochissime altre occasioni per lo splendido evento di fine giornata. Che cosa resta di tutto questo? Un grandissimo segnale di vicinanza del mondo della Cultura nazionale (la maratona l’ha voluta in primis il Mibact di Dario Franceschini) e soprattutto la speranza di poter rivivere presto un centro storico così, meraviglioso anfiteatro e palcoscenico naturale, piazza e luogo identitario di comunità. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero