Guerra, il coraggio di Roman: lascia Avezzano per andare a combattere

La guerra in Ucraina, foto simbolica
«Roman Kovalishin è un bravo ragazzo, ha il cuore grande e spesso parlava della sua Ucraina. Lo ricordo a scuola sempre sorridente anche quando incontrava...

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«Roman Kovalishin è un bravo ragazzo, ha il cuore grande e spesso parlava della sua Ucraina. Lo ricordo a scuola sempre sorridente anche quando incontrava difficoltà negli studi» racconta il vice preside dell'Istituto tecnico per Geometri, Sandro Tuzi, ora in pensione. Il giovane 20enne cresciuto ad Avezzano con la sua famiglia, dove ha studiato, ma non si è ancora diplomato, è partito per combattere a fianco dei soldati ucraini. «Vado in guerra», ha spiegato ad un amico Simone, compagno di classe.

Il conflitto scoppiato in Ucraina significa anche questo: giovani cresciuti in Italia che sentono l'impulso di partire per non lasciare i propri cari a combattere da soli il nemico russo. A Kiev è stato intervistato dai giornalisti. «Sono un ragazzo ucraino, vengo da Avezzano e ho deciso di imbracciare il kalashnikov per difendere l'Ucraina, ma anche l'Europa e quindi tutti noi». Ad un altro amico di Avezzano ha così scritto: «Vado a servire il mio Paese. In questo momento serve aiuto, tanto aiuto. Di vario genere: umanitario, finanziario e anche militare certo. Dopo l'invasione, è scattata la leva obbligatoria per tutti gli uomini, e quindi attenderò che mi dicano come rendermi utile. E se dovrò combattere, lo farò. Ma prima sono previsti dei corsi di addestramento che durano alcuni giorni: non ho mai tenuto un'arma in mano e andare al fronte senza saperla usare sarebbe da irresponsabili. Ad ogni modo, sono uno che impara in fretta».

Ogni giorno manda notizie sulla guerra, tramite Instagram, agli amici di Avezzano con cui è continuamente collegato. «In questa situazione - ha riposto a chi glielo chiedeva -solo gli stupidi non hanno paura. Però va affrontata. Ci sono molti soldati ucraini che stanno combattendo in modo eroico contro la Russia. Hanno paura? Sì, certo. Ma lo fanno lo stesso e stanno salvando milioni di vite. Io non sono un eroe e non voglio apparire come tale. Lo sono le donne in viaggio con me, che vanno a riprendersi i figli sotto le bombe».

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Il Messaggero