Giuseppe morto durante l'operazione, era il quarto intervento al cuore

Giuseppe morto durante l'operazione, era il quarto intervento al cuore
Morire a neanche 30 anni durante un intervento chirurgico al cuore. Capita anche nei reparti della sanità d’eccellenza, come la Cardiochirurgia pediatrica degli...

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Morire a neanche 30 anni durante un intervento chirurgico al cuore. Capita anche nei reparti della sanità d’eccellenza, come la Cardiochirurgia pediatrica degli Ospedali Riuniti Ancona, uno staff di specialisti capaci di inanellare negli ultimi 8 anni performance tra le migliori d’Italia, con una mortalità ridotta allo 0,5% dei casi su una media di circa 230 interventi l’anno. Uno di questi rarissimi esiti infausti dell’intervento al cuore è costato la vita, sabato scorso, a Giuseppe Lupi, un giovane abruzzese di Ancarano, in provincia di Teramo, e la procura di Ancona, come avviene in questi casi di routine ha aperto un’inchiesta per fare chiarezza sul decesso avvenuto nel corso di un intervento considerato a rischio abbastanza elevato, trattandosi della quarta operazione al cuore subita dal paziente.


Nella mattina di ieri la polizia giudiziaria su incarico del pubblico ministero di turno in Procura si è presentata all’ospedale di Torrette ed ha richiesto ed acquisito tutte le cartelle cliniche del 29enne paziente teramano. Lo stesso pm prima di firmare l’autorizzazione per la riconsegna della salma per la sepoltura alla famiglia aveva richiesto solo una ispezione cadaverica e non l’autopsia da parte del medico legale. «Crediamo sia un atto dovuto da parte della magistratura», fanno sapere dall’ospedale anconetano, evitando commenti in una situazione che umanamente ha coinvolto i medici che si sono occupati del caso. Giuseppe era nato con un grave problema cardiaco congenito. Quello di sabato era un intervento programmato da tempo e comunque era la quarta operazione a cui il ragazzo veniva sottoposto, circostanza che comporta un aumento del rischio notevole. La letteratura medico-scientifica, per interventi del genere, stima una percentuale di mortalità si aggirava tra il cinque e l’otto per cento, di gran lunga più elevata rispetto a uno standard che indicana, nel 99% degli interventi eseguiti, un rischio dello 0,5%.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero