Pescara, detenuto si dà fuoco in cella: morto dopo due mesi di agonia

Pescara, detenuto si dà fuoco in cella: morto dopo due mesi di agonia
Dopo un'agonia di quasi due mesi è deceduto al Policlinico di Bari il 30enne detenuto marocchino Fakhri Marouane, ricoverato a fine maggio dopo essersi dato fuoco...

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Dopo un'agonia di quasi due mesi è deceduto al Policlinico di Bari il 30enne detenuto marocchino Fakhri Marouane, ricoverato a fine maggio dopo essersi dato fuoco nella propria cella nel carcere di Pescara ed essersi procurato ustioni su quasi tutto il corpo. A dare notizia della morte di Marouane il suo avvocato, Lucio Marziale. Marouane era tra i reclusi vittime dei pestaggi avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) il 6 aprile 2020, e si era costituito parte civile nel maxi-processo in corso all'aula bunker dello stesso carcere a carico di 105 imputati tra agenti penitenziari, funzionari del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) e medici dell'Asl.

Marouane avrebbe dovuto testimoniare al dibattimento, anche perché la sua vicenda era tra quelle ritenute più gravi dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere; dai video delle violenze, dalle indagini e dalle prime fasi del processo (partito a novembre 2022), è emerso infatti come Marouane fosse stato tra i detenuti maggiormente «attenzionati» dagli agenti penitenziari responsabili dei pestaggi. In particolare dai video mostrati nelle scorse udienze, si vede che Marouane, durante i pestaggi, fu costretto a muoversi sulle ginocchia a piccoli passettini per raggiungere il suo posto nell'area socialità del carcere sammaritano; rimasto solo dopo che gli altri detenuti erano stati portati via, fu colpito con il manganello in testa, quindi fatto alzare e inginocchiare nuovamente ad altezza di un agente, e alla fine riportato in cella tra i poliziotti che continuavano a pestarlo.

Poco dopo, nel carcere di Pescara, si è tolto la vita un detenuto di Avezzano. I due gravi fatti hanno provocato un'ondata di protesta con i sindacati che sono tornati ad elencare le criticità della struttura. «Purtroppo, Pescara paga lo scotto di non avere più un Provveditorato regionale e dipendere da un ufficio che è ben distante - aveva affermato Donato Capece, segretario generale del Sappe -. Il personale di polizia penitenziaria è stremato dai logoranti ritmi di lavoro a causa delle violente e continue aggressioni e situazioni ad altissima tensione». San Donato conta oltre 350 detenuti (circa 80 in più della capienza) con una carenza organica di 54 agenti.

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Il Messaggero