Contagiato l'ex arbitro di rugby Mario Angelantoni: "Ora sto bene"

Mario Angelantoni, al centro in divisa da arbitro, in una foto datata tra i giocatori dell'Aquila Rugby Scipioni (a sin.) e Fugaro
«Sono sorpreso e direi onorato di come la mia città stia reagendo a questa notizia funesta». A parlare è l’ex arbitro di rugby, l’aquilano...

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«Sono sorpreso e direi onorato di come la mia città stia reagendo a questa notizia funesta». A parlare è l’ex arbitro di rugby, l’aquilano Mario Angelantoni, per gli amici “Peocchio”, già giocatore dell’Aquila Rugby, ricoverato in ospedale in Lombardia, a causa di una forma lieve di Covid-19.


Voglio rivolgere un sentito ringraziamento a tutti gli amici aquilani che mi stanno inviando messaggi di pronta guarigione- dice Angelantoni al telefono-. Insomma non mi sento solo! Questo fatto mi commuove». Per un ventennio, dal 1970 al 1990, è stato al top degli arbitri italiani del rugby, insieme all’altro “fischietto” aquilano Sergio Tiboni, scomparso a settembre dello scorso anno. Oltre al rugby, l’altra passione per il 74enne è quella di scrivere libri in dialetto aquilano malgrado da anni viva a Rovato, periferia di Brescia. Tra i suo libri “Dizionario italiano-aquilano, aquilano-italiano” e l’ultimo, pubblicato a dicembre “Sfumenti. Inalazioni di aquilanità”.

Ex dirigente della Banca d’Italia, ha girato per lavoro quasi per tutt’Italia e «il lunedì ero sempre al lavoro nonostante la domenica dovevo affrontare lunghi tragitti per andare ad arbitrare. Mi ricordo i viaggi in treno nella speranza di non perdere il bus che mi riportava all’Aquila, all’epoca non c’era l’autostrada». Angelantoni racconta che «dal 20 marzo sono ricoverato e non ho avuto bisogno del ventilatore e ora non ho più tosse e febbre. Non mi posso lamentare: purtroppo accanto a me ci sono dei pazienti molto gravi. Intanto voglio ringraziare la Protezione civile e il Comune di Rovato che ai malati e ai loro familiari è sempre vicino. Ricevo gli indumenti per cambiarmi, mentre a mia moglie Irene anche lei aquilana, insieme a nostro figlio Marco, (l’altro figlio Mauro per lavoro è in Svezia, ndr), è in quarantena».


Racconta che aveva la febbre alta e pensava che fosse una banale influenza. «Come ho potuto prendere il morbo? Non lo so forse l’ho raccolto attraverso i nipoti che hanno bighellonato per Brescia. Non vedo l'ora di guarire, perché voglio tornare all’Aquila. Non mi posso perdere la conviviale con gli amici dell’Old Rugby». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero