Nei momenti bui, quando, in isolamento, si chiedeva: «Oddio, quando finisce?», è stata la musica a soccorrerlo. «Mozart, Vivaldi e Bach e Beethoven....
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«Eh sì, ho raccolto qualche virus di passaggio», scherza. Una professione che per lui è una missione. «Quante notti - racconta la moglie, la giornalista Rai, Angela Trentini - ha trascorso in ospedale per non lasciare soli i malati...». La sua odissea è iniziata lo scorso 9 marzo, con la prima paziente infetta, una donna di Casoli, ricoverata nel reparto dove opera e dove, a mano a mano, sono stati registrati diversi casi, sfociati anche in decessi. Il reparto è stato ad un certo momento chiuso, per permettere la sanificazione. «Per proteggerci - ricorda Trentini - subito ha deciso di stare lontano da noi familiari. Ha seguito, assieme al suo primario, le dimissioni dell’ultimo degente e poi si è rinchiuso nella mansarda di casa, ponendosi così lontano da tutti».
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I sintomi sono comparsi gradualmente. «La tosse secca - dice Cassani -, occhi irritati, con un forte bruciore; astenia, cioè un grave senso di affaticamento; difficoltà di concentrazione. Non riuscivo neppure a fare pochi passi che avevo necessità di distendermi». E’ stato sottoposto a tampone, che è risultato positivo. «Quindi la febbre, che è salita sempre più, e i problemi respiratori». A quel punto la necessità del ricovero, al “Santissima Annunziata”, nella clinica delle Malattie infettive del professor Vecchiet. «Non si era messa affatto bene - spiega Cassani -. L’insufficienza respiratoria andava aumentando e ogni minimo sforzo era impossibile». E’ stato sottoposto ad ossigenoterapia e ad altre cure specialistiche. Settimane lunghe e complesse, in isolamento. «Che era necessario. Ma è stata dura. In aiuto mi è arrivata la tecnologia, telefonino, ipad. Ho ascoltato tanta musica classica, che mi è stata di conforto».
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Era il modo di evadere da quella stanza sterilizzata. Da tubi, timori e preoccupazioni, da quella patologia subdola che è il coronavirus. Quando è migliorato, è stato spostato al San Camillo de Lellis di Atessa, da poco trasformato, tra una miriade di polemiche, in presidio Covid. «Ho cominciato a muovermi un po’, a riallenarmi. A volte, quando riuscivo, per distrarmi, facevo il giro del letto. Anche più giri. Ho avuto i primi contatti, con altri pazienti». Che gli sono stati vicino, ricambiando la solidarietà, la speranza, l’aiuto che lui aveva magari dato loro in passato. «Un aspetto questo - confessa - che mi ha toccato l’animo. Vederli passare, con tutto il cuore, sopra le loro difficoltà per rassicurarti». Ed è stata felicità assoluta - dichiara - quando gli hanno comunicato che poteva uscire, perché i test erano risultati negativi». Ieri pomeriggio le dimissioni, è stato il primo medico guarito a lasciare il Covid hospital sangrino. All’uscita, l’applauso per lui di colleghi e infermieri, «per te e per tutti i medici che invece non ce l’hanno fatta» è stata la dedica. Con mascherina e guanti, dopo aver riabbracciato la moglie e i figli, ha deciso di tornare a casa a piedi. «Sono 500-600 metri e ho bisogno di perdere qualche chilo. In questo periodo ho rivalutato il mondo che mi circonda, ho ritrovato passioni, come la musica». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero