Coronavirus, un infermiere: «Lavoro, poi vado a dormire in montagna, devo proteggere mia figlia»

Coronavirus, un infermiere di Malattie infettive: Lavoro, poi vado a dormire in montagna, devo proteggere mia figlia»
A due mesi dalla pensione un infermiere di Teramo lavora con lo spirito di un neo assunto. Abnegazione e massima esperienza nel reparto più esposto con il Coronavirus:...

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A due mesi dalla pensione un infermiere di Teramo lavora con lo spirito di un neo assunto. Abnegazione e massima esperienza nel reparto più esposto con il Coronavirus: Malattie infettive al “Mazzini” di Teramo.

Guido (nome di fantasia), 63 anni, fa parte dell’equipe che ogni mattina va in guerra contro il Covid-19. Come del resto tutti i suoi colleghi. Gli applausi dai balconi lo gratificano ma lo toccano fino ad un certo punto: «Sì, fanno piacere ma noi eravamo già in prima linea davanti a meningiti gravi e tubercolosi, che non sono patologie da paragonare al Covid-19, però». Guido ha terminato la notte dopo dieci ore di lavoro intenso, ma da un po’ di tempo non torna a casa dai suoi cari, si è messo volontariamente in isolamento in una casa di montagna che sta finendo di restaurare per il timore di contagiare i suoi familiari, le precauzioni non sono tante: «Mia figlia mi chiama al cellulare due, tre volte al giorno per sapere come sto, e questa soluzione l’ho ideata anche per lei».
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E a proposito di precauzioni, la Asl dividerà a breve i pazienti positivi che verranno collocati nell’attuale reparto di infettivi, dai casi sospetti che si posizioneranno nel reparto dell’hospice che ha traslocato assieme a psichiatria. «L’organizzazione è al top, i medici ci informano in diretta sulle positività dei tamponi e agiamo come un corpo solo, c’è molta condivisione in tutto, siamo molto uniti, ora ancora di più. Non ci sono più le serate in pizzeria tutti insieme, medici e infermieri, ma, sono certo, presto le riprenderemo». C’è molta unione di intenti, la stessa idea di fare i tamponi a domicilio è partita da un infermiere, raccolta subito dal primario Pierlugii Tarquini: «C’è piena sinergia in tutto».
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Chiaramente ora tutto è sovvertito, anche le pause: «E’ saltato tutto, ora ci regoliamo in base al lavoro, se abbiamo tempo le facciamo altrimenti no». Lo stesso per l’orario di lavoro che spesso sfora. Col virus le procedure sono cambiate radicalmente: la vestizione e svestizione dei Dpi (dispositivi di protezione) comportano complessivamente 30 - 40 minuti ed è molto delicata: se non la si effettua al meglio c’è il pericolo di infettarsi.
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«Quando entriamo nelle stanze indossiamo 4-5 paia di guanti, due tute di carta sotto quella blu e poi infine quella bianca, poi scafandro, occhiali, mascherine e diversi calzari: abbiamo una pre camera dove prepararci, tutto è organizzato nei minimi particolari». Perché c’è da sorvegliare le stanze con i pazienti più critici: si entra con il Dpi, super schermati. Fino a domenica notte scorsa, c’era un caso solo che preoccupava, un anziano di 70 anni intubato. In quella fascia oraria erano sul campo tre infermieri e un Oss, e la mattina erano arrivati già tre nuovi infermieri a dar manforte ai 20 effettivi: «Abbiamo la fortuna di avere ragazzi bravissimi, lo stesso primario più volte li ha elogiati in pubblico».
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Le camere sono tutte piene. I pazienti sono 10, sei i positivi. Guido non si sente affatto «un eroe», ma al lavoro, dice, ci va volentieri, da sempre: «La vita paradossalmente non mi è cambiata, non mi manca nemmeno l’espresso e soprattutto non ho paura. Ora l’unica cosa che mi manca è il sonno».
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Il Messaggero