Clima pazzo, inverno troppo caldo: gli orsi bruni si risvegliano dal letargo

Clima pazzo, inverno troppo caldo: gli orsi bruni si risvegliano dal letargo
L'Orso bruno M49, battezzato con il nome “Papillon” dal ministro Sergio Costa, esce dal suo sito di ibernazione, rubando miele in un'azienda agricola in Val di...

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L'Orso bruno M49, battezzato con il nome “Papillon” dal ministro Sergio Costa, esce dal suo sito di ibernazione, rubando miele in un'azienda agricola in Val di Fiemme. Stiamo parlando del plantigrado su cui pendeva l’ordine di abbattimento, poiché considerato pericoloso per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ma che l’Abruzzo voleva adottare. E anche lo strano inverno abruzzese fa risvegliare gli orsi bruni marsicani dal letargo.


Riccardo Manca, vice presidente degli Animalisti Italiani, si dice preoccupato per la sua incolumità, chiedendo al Ministro Costa, di non distogliere la sua attenzione da un argomento così importante. «Più volte come Animalisti Italiani- afferma Manca- ci siamo scagliati contro i mortiferi piani di gestione degli orsi e dei lupi; lo abbiamo fatto con tutte le nostre forze e continueremo a farlo, ben consci che tutelare la vita di chi non può difendersi e non ha colpe, sia il fondamento di ogni vero progresso morale e civile».


Come spiega Antonio Liberatore, componente del tavolo tecnico Patom della rete di monitoraggio dell’Orso bruno marsicano, in merito a M49, è probabile che la temperatura media particolarmente alta, abbia indotto l’onnivoro ad abbandonare il sito di ibernazione molto prima, riaccendendo, purtroppo gli istinti di sopraffazione di cattura. «Nel Pnalm, negli inverni particolarmente miti- dichiara Liberatore- gli individui di sesso maschile sub adulti, vanno poco in ibernazione o non ci vanno affatto. Fanno la loro comparsa attratti da qualche carcassa di grosso animale, inaspettata fonte alimentare, favoriti da quello straordinario apparato olfattivo di cui dispongono, che gli permette di percepire odore della carne in decomposizione, anche a chilometri di distanza. Le femmine che devono partorire tra gennaio e febbraio, invece, si comportano in maniera diversa, trascorrendo tutto l’inverno nella tana, per non esporre i cuccioli ad improvvise avversità metereologiche e farli crescere il più possibile con il latte materno». Sonia Paglia Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero