Muore dopo l'intervento chirurgico, il figlio: «Non doveva accadere». Denuncia ai carabinieri

Operato per l'asportazione della vescica il 70enne è deceduto in rianimazione: era un paziente cardiopatico. La famiglia vuole sapere se c'è stata la corretta valutazione del rischio

Francisco Simeone con il figlio Valerio. Muore dopo l'intervento chirurgico, il figlio: «Non doveva accadere». Presenta denuncia ai carabinieri
Un intervento chirurgico programmato, fatto con la massima calma e preceduto da diversi consulti, per asportare la vescica a causa di una grave malattia, ma due ore dopo la fine...

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Un intervento chirurgico programmato, fatto con la massima calma e preceduto da diversi consulti, per asportare la vescica a causa di una grave malattia, ma due ore dopo la fine dell’operazione arriva l’arresto cardiaco e nonostante la rianimazione andata avanti per venti minuti il cuore non riparte: Francisco Simeone, una patologia cardiologica pregressa di base, aveva compiuto 70 anni il giorno prima. E ora suo figlio Valerio, giornalista e fotografo, vuole che si indaghi per sapere cosa non è andato per il verso giusto dal momento che secondo i chirurghi «l’intervento è andato benissimo».


GLI INTERROGATIVI
Ieri ha presentato una querela ai carabinieri di Chieti perché il decesso è avvenuto al policlinico all’esito di un intervento eseguito in Urologia, con successivo trasferimento in Rianimazione, e chiede alla procura che venga effettuata l’autopsia. Cosa è successo? Qualcosa poteva essere fatto meglio? C’è stata una valutazione del rischio corretta visto che il paziente non aveva interesse e voglia di rischiare di fare un intervento che non gli era fondamentale per vivere da oggi a domani? - Sono alcune delle domande in cerca di una risposta. «Era una cosa che non doveva accadere, che non era previsto che accadesse, seppur c’è sempre un rischio - dice Valerio Simeone, che aveva inviato una Pec alla Asl in cui aveva espresso alcune perplessità, e che dopo 60 giorni non ha ancora ricevuto risposta - Lui era, e noi eravamo tranquilli, perché non era una cosa vitale, perché se fosse stata così pericolosa poteva scegliere di non farlo e non l’avrebbe fatto perché non aveva assolutamente idea di rischiare senza motivo, poteva scegliere di fare chemioterapia o di convivere con la malattia».


E nella querela si chiede innanzitutto se i tempi da giugno a oggi potessero essere ottimizzati perché per diverse settimane ci sarebbero stati problemi di comunicazione con alcuni reparti. «C’è stata tanta fiducia - conclude Valerio Simeone - che oggi mi sento di dire che è stata tradita, o quantomeno non è stata allineata con le notizie che avevamo e con le scelte che poi siamo stati portati a fare, ribadendo il fatto che c’è il rischio su qualsiasi cosa tu faccia ma in questo caso il rischio era assolutamente tollerabile e c’erano altre scelte disponibili. Ringrazio tutti coloro che hanno fatto del loro meglio ma sicuramente qualcosa fuori posto c’è stato perché il paziente è arrivato in ospedale con le sue gambe e non torna a casa». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero