Covid, l'imprenditore Stefano Pecorella: «Ero un sacco privo di forze, non volevo morire così, questo giro l'ho vinto io»

Covid, l'imprenditore Stefano Pecorella: «Ero un sacco privo di forze, non volevo morire così, questo giro l'ho vinto io»
«Perdo conoscenza. Non sento più nulla, vedo bianco, un bianco bellissimo luminoso, nuvole di un candore mai visto. Poi mi sento toccare, schiaffeggiare leggermente e...

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«Perdo conoscenza. Non sento più nulla, vedo bianco, un bianco bellissimo luminoso, nuvole di un candore mai visto. Poi mi sento toccare, schiaffeggiare leggermente e mi sento dire, ci senti, ci senti. Faccio segno di sì. Sarà stato sicuramente il Signore a provvedere per me. Saranno state le mete da materializzare. Questo giro l’ho vinto io, lo hanno vinto le mete».

 

E’ una parte del racconto che l’imprenditore abruzzese di 50 anni, residente a Castel di Sangro, Stefano Pecorella, ha affidato a Facebook, per descrivere la lunga battaglia contro il Covid-19.  «Dopo una settimana di terapia domiciliare con febbre alta, la saturazione crolla la notte del 1 maggio - scrive - la mattina arriva l’ambulanza. Nell’alzarmi dal letto, mi rendo conto che avevo perso le capacità di deambulazione. Iniziano a mettermi tubi, mi bucano vene. Li sento parlare tra di loro l’ossigeno è basso, autista fermati. Poi l’arrivo all’ospedale di Castel di Sangro. Perdo la cognizione del tempo e nella stanza dove sono stato messo in isolamento arriva un medico e mi chiede se lo riuscissi a capire. Mi dice: “Stiamo cercando un posto in un centro Covid, in quanto il tuo quadro clinico è serio”. E ancora mi dicevo non voglio morire così. Mi addormento stremato e vengo risvegliato non so quanto tempo dopo e sento che mi caricano nuovamente in ambulanza. “Abbiamo trovato posto all’Aquila”, mi dice l’infermiere e ripartiamo. Durante il viaggio ci fermiamo in quanto l’ossigeno era basso. Arriviamo che non c’è più luce, era tardi. Mi trasferiscono dalla lettiga al letto dell’ospedale e mi sento come un sacco privo di forze. Mi intubano, mi mettono un nastro al polso con le mie generalità. Sento che durante la notte si susseguono oss, infermieri e dottori. Ho pensato ai miei figli, mia madre, la mia compagna che per starmi vicina e accudirmi si è positivizzata».

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Il Messaggero