Sulmona, rischio sommosse: il supercarcere presidiato dall'esercito

Sulmona, rischio sommosse: il supercarcere presidiato dall'esercito
«Condividiamo la decisione di utilizzare l’esercito per presidiare il perimetro della Casa di Reclusione di Sulmona». A dichiararlo il segretario generale del...

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«Condividiamo la decisione di utilizzare l’esercito per presidiare il perimetro della Casa di Reclusione di Sulmona». A dichiararlo il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria S.PP. Aldo Di Giacomo: «Una scelta condivisa e sicuramente da esportare ad altri istituti penitenziari della penisola. Il carcere di Sulmona conta circa 400 detenuti di cui 75 circa 41bis e il resto alta sicurezza. Con l‘utilizzo dell’esercito, sono 30 militari impegnati a presidiare l’area esterna del carcere h24, 5 per turno, si recupera personale di polizia penitenziaria da utilizzare dentro l’istituto. A nostro avvivo il rischio sommosse nelle nostre carceri non è del tutto debellato. Con il rientro nelle prossime settimane di buona parte dei detenuti di peso usciti per il rischio coronavirus potrebbe ricambiare uno scenario già molto teso. In molte carceri lo Stato non ha il controllo e da queste potrebbero ripartire violente proteste».


«L’aiuto dell‘esercito da solo non basta per riportare l’ordine e la disciplina - prosegue Di Giacomo - all’interno delle carceri Italiane, bisogna mettere in discussione il principio della fiducia a tutti ed a tutti i costi. Interrompere la sorveglianza dinamica ossia le celle aperte che è stata sicuramente la madre di tutti i mali concedendola solo a chi la merita. Fornire strumenti normativi che vadano ad incidere pesantemente su chi introduce o cerca di introdurre ed utilizza telefonini negli istituti penitenziari, con l’introduzione di un reato specifico la cui pena sia non inferiore a 4 anni nel minimo. Aumentare le pene a chi introduce o staccia droga negli istituti. Ultimo ma non ultimo punire in modo esemplare chi approfitta della propria forza fisica e/o mentale per fare violenza nei confronti dei detenuti più deboli». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero