L'Aquila, Università al voto/Alesse: «Sogno un Ateneo coeso e sostenibile»

L'Aquila, Università al voto/Alesse: «Sogno un Ateneo coeso e sostenibile»
L'AQUILA - Un’Università sostenibile, più coesa, fulcro del processo di rinascita della città. E’ questa la “visione” del...

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L'AQUILA - Un’Università sostenibile, più coesa, fulcro del processo di rinascita della città. E’ questa la “visione” del professor Edoardo Alesse, il modello di Ateneo che intende sviluppare in caso di elezione a rettore.


LEGGI L'INTERVISTA ALLO SFIDANTE, CARLO MASCIOCCHI

Professor Alesse, partiamo dal clima: la competizione elettorale è stata priva di particolari tensioni. 
«Uno degli elementi centrali della mia attività recente è stato quello di voler ricostruire rapporti che in precedenza erano un po’ conflittuali, soprattutto tra i due Dipartimenti di area biomedica. Credo di aver dato molto a questo processo di distensione». 

Come nasce la candidatura? 
«Già dodici anni fa sfidai di Orio. Ero più giovane e con molta meno esperienza. Ebbi un ottimo successo, pur perdendo. Poi ho fatto il direttore di Dipartimento, il coordinatore di dottorati, il coordinatore dei direttori di Dipartimento negli ultimi sei anni, per otto anni il senatore accademico, attualmente il consigliere di amministrazione. Ho ricoperto anche incarichi nazionali importanti per le relazioni con la sanità e le società scientifiche di riferimento. Il rettore è uno sbocco naturale, penso di avere le carte in regola». 

Che momento vive l’Università? 
«Una sfida continua per non essere marginalizzati in un sistema di globalizzazione, di innovazione tecnologica esasperata, di diffusione pervasiva della comunicazione di massa. E poi i finanziamenti: in calo costantemente dal 2008 e ripartiti soprattutto al Nord». 

Le problematiche locali quali sono? 
«Siamo Sud, geograficamente. E poi L’Aquila viene fuori da un periodo di distruzione e ricostruzione faticosa. Alcune problematiche riguardano proprio la rilocalizzazione di strutture e attività in luoghi identitari, come Roio per l’ex facoltà di Ingegneria. Ci vorrà ancora tempo, ma deve essere lo stimolo per fare meglio». 

Qual è la vocazione di questo Ateneo? 
«Abbiamo un numero di studenti ben rapportato a quello dei docenti, in osservanza delle norme. Circa 20 mila iscritti è un numero adeguato al nostro potenziale». 

Quindi la politica del numero programmato non cambierà? 
«Ho proposto un paio di anni di vigilanza. Abbiamo corsi che non riusciamo a riempire, magari per paura del test. Propongo di fare il test, obbligatorio, solo dopo le iscrizioni, per colmare i debiti formativi. Sono disposto, però, a valutare necessità oggettive dettate dalla fase di evoluzione». 

Quali sono le emergenze? 
«Attrattività di alcuni corsi e finanziamento della ricerca. Stiamo cercando di mettere in campo azioni per i fondi, in particolare pensando a quelli europei, con un maggior numero di progetti sovranazionali. E poi si possono utilizzare aziende e territorio, come ad esempio in ambito farmaceutico, come volano per l’approvvigionamento. E, infine, trovare modalità alternative di reperimento, con eventi o orientando la raccolta del cinque per mille». 

Lei ha usato l’immagine di una nave pronta ad accogliere a bordo tutti, o quasi. Perché? 
«Per evidenziare la capacità di integrazione e connettività che l'Ateneo deve avere. La terza missione è un importante: l’Università deve anche valorizzare i suoi risultati, in una relazione forte con il territorio. Credo di essere stato il primo candidato, poi, a parlare di quarta missione: un’Università che si fa coscienza critica e si impegna a definire strategie basate su collaborazione e coesione, per uno sviluppo equo e sostenibile. Un luogo di formazione delle coscienze. Nel programma ci sono aspetti innovativi: sicurezza, lotta alle disuguaglianze, solidarietà, acquisti ecologici, uso appropriato delle energie, abbattimento della produzione dei rifiuti». 

Ciclicamente si apre il dibattito sulla coesistenza di tre Università in una regione così. Quella aquilana può essere in pericolo? 
«No, assolutamente. Per ragioni storiche, qualitative, per come ha risposto alla calamità. Un Ateneo in ottima salute, che forse ha difficoltà a comunicarlo. Un riferimento importante, non ravvedo alcun elemento di debolezza». 

Che Università immagina tra sei anni? 
«Di Orio e Inverardi hanno costruito una piattaforma importante per la rinascita. Dopo la fine dell’accordo di programma si temeva il crollo: invece oggi abbiamo addirittura abbattuto l’abbandono, dal 30% al 9-10%. Immagino un’Università più coesa, armoniosa, sostenibile, bene integrata con il territorio, che agisca da volano per completare il rilancio della città, che colloqui nel panorama nazionale e internazionale».

IL PROFILO

Nato a Leonessa (Rieti) il 17 febbraio 1958, laureato in Medicina all’Aquila, è docente del Dipartimento di Scienze cliniche applicate e biotecnologiche, di cui è stato direttore fino a qualche mese fa. E’ professore di ruolo di
Scienze Tecniche di Medicina di Laboratorio Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero