L'Aquila al Getty Museum: «Ridateci i nostri leoni di pietra»

L'Aquila al Getty Museum: «Ridateci i nostri leoni di pietra»
«Quei leoni di epoca romana sono nostri, ridateceli!». Il ministero dei Beni culturali ha chiesto al Getty Museum di Malibù, in California, di valutare la...

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«Quei leoni di epoca romana sono nostri, ridateceli!». Il ministero dei Beni culturali ha chiesto al Getty Museum di Malibù, in California, di valutare la provenienza di altre quattro opere che sono nelle sue collezioni ma che all’Italia risultano trafugate o esportate senza permesso. Tra queste anche due leoni d’epoca romana che erano nel Palazzo Spaventa di Preturo (L'Aquila). La richiesta è stata formalizzata in una lettera spedita al museo americano lo scorso 9 maggio. Dal Getty è arrivato un «risponderemo il prima possibile», unito comunque alla disponibilità ad approfondire la provenienza delle quattro opere.


Il palazzo in questione a Preturo risale al Seicento e ha il titolo degli Spaventa (era l’ex edificio baronale dei Guizzi, che dominarono la zona dal Cinque al Settecento), cui appartenne anche Giovannangelo, direttore generale delle Poste nell’Ottocento quando, attorno al 1880, la famiglia si estingue. Tanti i leoni funerari romani che provengono da Amiternum: come non ricordare i due che si trovano “a guardia” dell’uscio della chiesa capoquarto di San Pietro. Ma questi due erano spariti. Per un tempo assai lungo, sono stati a Preturo: proprio davanti al portale di palazzo Spaventa. Due foto, scattate nel 1912 quando sono registrate in archivio, le mostra l’Istituto archeologico germanico di Roma. Quei due leoni (in marmo: lunghi un metro e 78 cm, alti oltre mezzo metro, fauci spalancate, forse del II a.C.) sono finiti, chissà come, al Getty che, come si legge in un suo Bollettino, dice d’averli acquisiti nel 1958. Dice anche che, per gli studiosi, provengono dall’Asia Minore e che erano in una «collezione privata di Parigi». E’ ormai accertato, invece, che si tratta di contrabbando. Preturo non è in Asia Minore! Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero