L'AQUILA - La politica locale nel 2016 sapeva delle presunte irregolarità della società, ma ha preferito girarsi dall’altra parte, facendo sì...
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Così in uno dei passaggi il pm David Mancini che ha chiesto ed ottenuto dal Gip Guendalina Buccella il sequestro preventivo della somma che sfiora i 5 milioni di euro nei riguardi della società Accord Phoenix Spa, eseguita ieri dai militari del Nucleo di Pt delle Fiamme gialle dell’Aquila, agli ordini del tenente colonnello Francesco Maione. Indagati per indebita percezione di erogazioni pubbliche i vertici dello stabilimento: Ravi Shankar, Francesco Baldarelli ed infine Luigi Ademo Pezzoni, assistiti dall’avvocato Giulio Agnelli.
Secondo l’accusa costoro a vario titolo attestando falsamente di possedere i requisiti minimi di innovazione e di durevole capacità economica richiesti, avrebbero ottenuto il cospicuo finanziamento per il rilancio socio-economico dell’Aquila e dei Comuni del cratere dopo il sisma, traendo in inganno il Ministero (Mise) ed infine Invitalia Spa.
Secondo le investigazioni nessuno dei soggetti appartenenti alla società e coinvolti a vario titolo “aveva la previste ed indispensabili alte professionalità nel settore del riciclo dei rifiuti elettronici e come l’intera organizzazione dell’impianto fosse approssimativa ed improvvisata”.
Come da copione a supporto della tesi dell’accusa le intercettazioni telefoniche nelle quali vengono raccontate anche le ‘gaffe’ davanti agli operai durante le dimostrazioni su come ad esempio andavano distrutti i monitor. Non solo. Spazio anche sulle modalità di assunzione dei lavoratori “e le strategie da tenere con i sindacati”.
Emblematica una conversazione del sindacalista Alfredo Fegatelli, della Fiom in cui lo stesso lamentava le assunzioni clientelari ad un rappresentante dello stabilimento. Altro punto dell’accusa i macchinari e software non adatti e sovrastimati (secondo una consulenza tecnica della Procura) “del valore accertato di 10 milioni di euro a fronte dei 19 milioni di euro indicati nel business plan”.
L’accusa si è poi soffermata sulla conferenza stampa indetta nel 2016 finalizzata a rassicurare i politici locali e l’opinione pubblica sul corretto avanzamento dei lavori. Nel corso del tour tra i macchinari un operatore televisivo era stato aggredito perché si era avvicinato un po’ troppo sugli stessi: “dobbiamo camminare veloci, le macchine le devono vedere solo da lontano, guardate che ci..che noi ci facciamo male”, aveva detto al telefono un responsabile dell’azienda, non indagato. Dito infine puntato su presunte violazioni in materia di sicurezza e installazione di apparecchiature difformi da quelle autorizzate. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero