Afgano rifugiato in Abruzzo: «Voi italiani avete salvato me e la mia famiglia»

Afgano rifugiato in Abruzzo: «Voi italiani avete salvato me e la mia famiglia»
«Ci stavano per schiacciare. Avevo in braccio mio figlio di due anni e c'era mia moglie che si stava sentendo male. I militari italiani ci hanno tirato dentro e ora...

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«Ci stavano per schiacciare. Avevo in braccio mio figlio di due anni e c'era mia moglie che si stava sentendo male. I militari italiani ci hanno tirato dentro e ora grazie a loro sono qui». È il racconto - in un video diffuso dalla Difesa, in cui è ripreso di spalle - di uno dei cittadini afghani arrivati in Italia nei giorni scorsi e ora in


quarantena in una struttura dell'Esercito in Abruzzo. «Io da 15-16 anni vivo in Italia - dice l'uomo, di etnia
Hazara - ma sono tornato a Kabul per portare via la famiglia che era in pericolo». Il giorno prima dell'arrivo dei talebani «ho contattato l'ambasciata italiana. Mi hanno detto di andare in aeroporto, indicandomi un gate, ma non sono riuscito a trovarlo. Quella notte sono rimasto per strada, rischiando che mi ammazzassero: io sono un azhara, per i talebani non siamo buoni musulmani».


Quando è tornato in aerorto e il portone si è aperto «c'erano 800-900 persone che volevano entrare, mia moglie è caduta, il mio bambino di due anni stava per essere schiacciato. In qualche modo sono riuscito a togliermi dalla calca. Abbiamo rischiato tutti di morire». Il giorno dopo - mentre «c'erano voci che i talebani
entravano nelle case degli Hazara» - l'uomo torna a contattare le autorità italiane ed anche i suoi colleghi di lavoro a Torino. «Tutti mi aiutano».

Gli vengono date altre indicazioni, lui torna in aeroporto. «C'erano i carri armati con sopra le mitragliatrici e sparavano di continuo. Mio figlio piangeva, ma non aveva più voce: gli uscivano solo le lacrime. Mia moglie
stava svenendo e io non avevo neanche una bottiglietta d'acqua. Sono riuscito ad arrivare al portone, tutti spingevano. I militari italiani ci hanno tirato dentro, non so come, ma pensavamo davvero che fosse finita. Ora siamo finalmente al sicuro, ma non possiamo dimenticare. E la notte non riusciamo a dormire».

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Il Messaggero