Chieti, picchia la moglie davanti ai figli: condannato a 4 anni

Chieti, picchia la moglie davanti ai figli: condannato a 4 anni
Ha maltrattato la moglie per anni, fino a quando lei lo ha denunciato: ieri un uomo di 67 anni di Chieti è stato condannato a 4 anni di reclusione dal giudice Enrico...

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Ha maltrattato la moglie per anni, fino a quando lei lo ha denunciato: ieri un uomo di 67 anni di Chieti è stato condannato a 4 anni di reclusione dal giudice Enrico Colagreco. Il pm Natascia Troiano aveva chiesto 3 anni e 6 mesi. Maltrattamenti di inaudita violenza, con frattura della mandibola, schiacciamento del polmone, rottura delle costole più di una volta, ha evidenziato il Pm nel corso della requisitoria.

Secondo l’accusa il marito, sin dal 1993 mutava atteggiamento verso la donna, mostrandosi violento e aggressivo, minacciandola abitualmente con una pistola detenuta illegalmente e con coltelli da cucina, e percuotendola con ogni pretesto. Così il 13 settembre del 1993 afferrava la donna per il braccio sinistro provocandole lesioni ai muscoli e ai tendini, nel 1997 la percuoteva sul volto con un pugno provocando la rottura della mandibola, e in un’altra occasione era talmente veemente nel colpirla, che la sovrastava con in ginocchio puntato sullo sterno mentre la teneva stesa sul divano, così da rendere necessario il ricovero nell’ospedale dove la vittima veniva accompagnata in ambulanza.

L’uomo sarebbe riuscito così a terrorizzare la donna e a inibirla dall’intraprendere ogni iniziativa a sua tutela sino, da ultimo, ad aumentare l’atteggiamento aggressivo e violento, minacciando di ucciderla insieme ai figli e alle rispettive famiglie ove non lo avesse assecondato, intestandogli l’attività di gestione di un bar, dicendo alla nuora che avrebbe cercato la moglie e l’avrebbe fatta a pezzettini e scaricato addosso due caricatori, che avrebbe messo fuoco alla casa, al bar e a tutto il resto, al punto di costringere la moglie a scappare di casa per cercare ricovero in albergo per trovare riparo dalle violenze.

Tutto questo fino a ottobre del 2015 quando lei lo denunciò. Nella sua difesa l’avvocato Manuel Sciolè ha parlato di condotte talvolta minacciose, sicuramente censurabile, «ma non connotata da abitualità dell’articolo 572». Quanto al figlio che ha deciso di rispondere durante l’esame in udienza (l’altro si è avvalso della facoltà ha di non rispondere), «non ritengo abbia minimizzato i fatti - ha detto Sciolè - semplicemente ritengo abbia ha fatto venire fuori quella che era la percezione dei più stretti familiari: padre che talvolta ha minacciato la mamma anche alla presenza dei figli, ma di fatto minacce che non erano mai percepite come minacce reali che avrebbero potuto portare all’evento che poi la denuncia avrebbe scongiurato». L’avvocato Rocco Di Sipio aveva revocato la costituzione delle parti civili.

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Il Messaggero