Francesco Grisi al Riff 2024: «Così con gli effetti digitali difendo il nostro pianeta»

Al Riviera International Film Festival abbiamo parlato con Francesco Grisi, cofondatore di EDI Effetti Digitali Italiani. Due David di Donatello e un lavoro che rende possibile l'impossibile: «Evitiamo l'abbattimento di migliaia di alberi, lo spreco d'acqua e lo sfruttamento degli animali. Possiamo creare tutto»

Francesco Grisi, 53 anni, al Riviera International Film Festival (foto Laura Bianchi)
di Tiziana Panettieri
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Martedì 14 Maggio 2024, 12:00

Ha dato fuoco a Roma in “Adagio” di Stefano Sollima e comandato le acque in “Il primo re” di Matteo Rovere, ma nel curriculum di Francesco Grisi figurano anche Marvel con "Thor: Love and Thunder" e Warner con "Black Adam", oltre che esplosioni, distruzioni, crolli e la creazione di immense folle. Per l’artista VFX e fondatore nel 2001 insieme a Pasquale Croce di EDI Effetti Digitali Italiani rendere possibile l’impossibile è la prassi. In oltre vent’anni di carriera ha curato gli effetti digitali di più di novanta film tra italiani e stranieri, aggiudicandosi con la sua società due David di Donatello per “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” di Sydney Sibilia e “Freaks Out” di Gabriele Mainetti. Grisi però dice di essere “inciampato” in questo mondo in cui è entrato nel 1997 lavorando come supervisore degli effetti visivi di “Batman & Robin” di Joel Schumacher.  Ha definito “Fight Club” di David Fincher il film della svolta, mentre “Padri e figlie” di Gabriele Muccino il primo passo verso gli Stati Uniti e la conquista di Hollywood. Lo abbiamo incontrato in occasione della masterclass tenuta all'ex Convento dell'Annunziata durante il Riviera International Film Festival di Sestri Levante dal titolo “Il superpotere dei VFX per difendere il nostro pianeta”.

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Come fa con il suo lavoro a salvare l’ambiente?

«Evitiamo che migliaia di alberi vengano abbattuti o che il corso di un fiume venga deviato per esigenze di produzione o ancora che gli animali vengano sfruttati, perché li creiamo noi come è successo con il cinghiale della serie “Il Cacciatore”».

Mi faccia qualche altro esempio.

«Per la serie tv “Romulus” avevamo necessità di costruire migliaia di capanne e l’abbiamo fatto, ma senza abbattere migliaia di alberi.  Nel film di Matteo Rovere “Il primo re” avevamo bisogno di tanta acqua, ma non abbiamo deviato corsi di fiumi. “Mondocane” invece necessitava di una zona industriale in cui essere ambientato con ciminiere che, se reali, avrebbero contribuito all’inquinamento. Invece con i VFX abbiamo risolto il problema».

Dice di essere “inciampato” in questo mondo. Perché?

«Non era un mio sogno, ecco. Da piccolo ero un semplice spettatore, amavo il cinema e amavo guardare film».

Oggi il suo sguardo è cambiato?

«Lavorare in questo mondo ha inevitabilmente cambiato il mio occhio e questo all’inizio mi infastidiva molto. Mi mancava lo sguardo ingenuo di chi non sa come funziona, facevo attenzione al dettaglio tecnico e non mi lasciavo più prendere dalla storia. Era tristissimo. Pian piano con l’avanzare dell’età ho imparato a fare astrazione e ora riesco nuovamente a farmi ingannare».

Cos’è che fa un buon effetto digitale?

«Deve servire a uno scopo e non essere pretestuoso, lo spettatore deve credere a ciò che sta vedendo anche se quella cosa è impossibile.

Se ci si spinge troppo in là ecco che alla naturalezza subentra l’artificialità e chi guarda non può che dire che è finto».

Che ne pensa dell’intelligenza artificiale?

«Quando un giorno prenderà il mio posto farò qualcosa di più divertente».

Gli attori hanno paura di questo scenario. Lei no?

«L’intelligenza artificiale semmai amplifica il mio lavoro, gli attori però hanno ragione ad essere preoccupati. È una questione di gestione della loro immagine, un problema che esiste da anni. Qualche anno fa proposi a un famoso agente di tanti artisti famosi di ricostruire il modello 3D dei suoi assistiti. Già lo facevamo, perché serve per moltissimi film, ma ci sarebbe stato un contratto di mezzo dove loro avrebbero avuto il totale controllo di loro stessi e a noi veniva lasciata la gestione. Mi rise dietro».

Durante la masterclass ha detto che è molto difficile capire cos’ha in testa il regista. Quello con cui ha avuto più sintonia?

«Gabriele Muccino. È una persona trasparente, pura, emotivamente diretta e il primo che ha dato fiducia a me e al mio socio Pasquale Croce».

Un film di cui è orgoglioso?

«“Freaks Out” di Gabriele Mainetti credo sia il miglior lavoro della nostra società, ma lì è stato incredibile come Stefano Leoni, che lavora con me, si è subito trovato con Gabriele. Era molto importante che accadesse, perché il film era molto complicato e visivamente impegnativo».

E quello che avrebbe voluto fare e non ha fatto?

«Sono due: “Veloce come il vento” di Matteo Rovere e “Race for Glory – Audi vs Lancia” di Stefano Mordini. Sono da sempre un appassionato di rally e avrei tanto voluto occuparmene, perché erano storie che mi emozionavano molto. Bellissimi entrambi, ma gli effetti erano molto semplificati e da amante di queste storie quando ho visto il risultato ci sono rimasto molto male».

All’ultima edizione dei David di Donatello il costumista Sergio Ballo ha lamentato un trattamento da “ultimi” riservato alle maestranze del cinema, premiate lontano dalle categorie principali. Si sente così?

«Beh rimaniamo gli ultimi nei titoli di coda nonostante come effetti visivi continuiamo ad acquisire sempre più importanza lavorando con tutte le maestranze, dal trucco ai costumi alla scenografia. Noi espandiamo il loro lavoro, non lo sostituiamo».

Condivide anche la polemica di Ballo?

«Quello che è successo ai David di Donatello è stata un po’ una gaffe. L’intenzione era buona, ma l’esecuzione pessima. Cinecittà poteva uscirne valorizzata e invece le scale del teatro 14 sembravano normali scale di un condominio. Noi come effetti visivi siamo stati premiati all’interno del teatro 18 dotato di uno schermo a led di 35 metri. Bastava chiedere alle società candidate di proiettare il loro lavoro e avremmo portato dei mondi pazzeschi».  

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