Santone di Acquapendente, la vittima: «E’ il mio maestro non lo lascerò mai»

Santone di Acquapendente, la vittima: «E’ il mio maestro non lo lascerò mai»
di Maria Letizia Riganelli
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Giovedì 6 Ottobre 2022, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 18:40

«E’ il mio maestro non lo lascerò mai». Poche secche parole per chiarire una volta per tutte che lei non si è vittima del santone di Acquapendente. A ripeterle in aula però non è stata la 24enne che secondo l’accusa e la madre sarebbe stata piegata dal valore dell’imputato, ma due donne di Acquapendente dove tra il 2018 e il 2019 la giovane lavorava come tata. Con le loro testimonianze è ripreso il processo al maestro Lino, al secolo Pasquale Gaeta, il sessantenne napoletano leader della comunità “Qneud” (acronimo di Questa non è una democrazia), accusato di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale ai danni di due ragazze e esercizio abusivo della professione di psicologo.

Parti civili la mamma di una delle due presunte vittime, una giovane adepta e l’ordine degli psicologi. A far scoppiare il caso fu la mamma di una delle presunte vittime. La donna, che non riusciva più ad avere contatti con la figlia allora 24enne, con uno stratagemma avrebbe messo dei registratori a casa dell’uomo dove avrebbe scoperto che la figlia era diventata una schiava del sesso. La ragazza, che continua a non parlare più con la famiglia, nonostante le indagini e le accuse ha sempre difeso il suo maestro spirituale. «Veniva da me come tata, era una ragazza dolce e empatia, quando ho scoperto dalla tv cosa succedeva col maestro Lino sono rimasta sconvolta.

Così insieme a un’amica, da cui andava a fare la baby sitter, abbiamo deciso di parlarci. Per capire e farci spiegare».

Le due donne portano la 24enne a fare una passeggiata e cercano di farsi spiegare cosa accadeva col maestro Lino. «Abbiamo fatto domande - ha detto ancora - e lei senza vergogna si ha detto tutto. Ha chiaramente ammesso che lui era il suo maestro spirituale che non voleva lasciarlo. Con lui aveva rapporti sessuali non protetti, anali e orali. Lo ha ammesso con tale semplicità che siamo rimaste spiazzate. Davanti alla nostra ritrosia per l’età e l’aspetto del santone, lei ci disse che il sesso con lui era uno strumento per il percorso che aveva intrapreso. Un percorso catartico che chiama pratica di repulsione. Spiegò che il maestro la stava destrutturando, velo dopo velo».

Tra le pratiche che la giovane faceva con il maestro, non c’era solo il sesso. «Diceva che col mostro faceva un sesso verticale in grado di elevarla, mentre l’altro sesso, quello orizzontale era solo una perdita di tempo perché fine a se stesso. Ci disse anche di un’altra pratica. Doveva fare pipì sulla foto della madre. Era, secondo lei, un atto effimero per avere un effetto catartico. Lo avrebbe dovuto fare fino a quando il maestro non gli avrebbe detto di smettere». Si torna in aula il 18 ottobre con la testimonianza di un ex fidanzato della vittima.

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