“In agricoltura il nodo al momento è trovare personale specializzato. Ma se non si inverte la curva della denatalità, i problemi aumenteranno anche per le altre figure. E per riuscirci non bastano le misure fatte con pochi euro: è l’incertezza del futuro che porta a non fare figli ”. Remo Parenti, presidente di Confagricoltura Viterbo-Rieti, commenta i dati sul crollo demografico rilanciati dalla Cisl nei giorni scorsi. Rispetto a dieci anni fa, il numero dei giovani tra i 15 e i 34 anni nella Tuscia ha subito un pesante crollo: nel 2013 in quella fascia d’età si contavano 68.013 cittadini, calati nel 2019 a 61.429, per scendere quest’anno a 58.455. In un decennio, quindi, si sono persi quasi 10mila giovani, ovvero il -14,1%, con conseguenze sul lavoro, sul welfare, sulla sanità.
Il crollo demografico è destinato a provocare problemi strutturali anche per le aziende: nel Viterbese i lavoratori agricoli bastano?
“Il calo demografico per ora non sta incidendo sul mercato del lavoro agricolo che ha invece problemi di formazione e di specializzazione”.
I giovani sono restii a lavorare nei campi?
“Come dipendenti sì, mentre aumentano coloro che diventano imprenditori agricoli”.
Gli operai e i braccianti stranieri sono sufficienti a coprire il fabbisogno?
“Con il primo e il secondo decreto flussi, hanno soddisfatto la domanda di lavoro che l'agricoltura della provincia aveva espresso. Restano problemi di reperimento per i profili di lavoratori più specializzati”.
Quali aziende agricole faticano più delle altre per carenza di personale?
“Se gli stagionali sono coperti con il decreto flussi, i problemi nascono per la difficoltà di reperire manodopera ad alta specializzazione come quella che viene utilizzata in zootecnia da latte, negli impianti arborei o nella guida dei trattori di ultimissima generazione (4.0)”.
Come è cambiato il mercato del lavoro in agricoltura?
“Mentre fino a qualche decennio fa i profili dei lavoratori richiesti si riassumevano prevalentemente nelle figure del raccoglitore, del trattorista generico e dell'operaio specializzato, ora servono lavoratori comuni per la raccolta prodotti oppure personale ad alta specializzazione”.
Cosa dovrebbe fare la politica, a ogni livello, perché lavorare in agricoltura torni a essere un'ambizione?
“Lavorare in agricoltura sarà attrattivo solo se l'innovazione continuerà ad essere introdotta nelle aziende e consentendo a chi ci lavora più sicurezza, comfort e competenze.
Ritiene sufficienti le misure adottate sinora per favorire la natalità e aumentare quindi la platea di “occupabili”?
“Il problema è complesso, collegato alla percezione di un futuro incerto e difficile da parte di tutte quelle generazioni che per lo meno da tre decenni vedono continui tagli nell'assetto del welfare statale e vivono un mondo del lavoro che li obbliga a occupazioni spesso temporanee, poco remunerate e prive di prospettive future. Non è attraverso pochi euro che si può modificare questa incertezza complessiva. Il cambiamento dovrebbe essere strutturale, generato e guidato dalle Istituzioni europee e italiane. Ripartire dal lavoro come è in Costituzione: globalizzazione e finanza selvaggia non dovrebbero condizionare negativamente le più importanti dinamiche sociali. La crescente sperequazione nella distribuzione dei redditi è un chiaro segnale di una situazione di profonda ingiustizia che finisce per spegnere le energie vitali e le prospettive inalienabili di tantissimi nostri giovani”.