«La mafia a Viterbo aveva sconvolto la vita della comunità»

Uno degli attentati incendiari dei mafiosi
di Maria Letizia Riganelli
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Martedì 26 Settembre 2023, 05:20

La mafia a Viterbo aveva «creato un diffuso allarme sociale, alterando il pacifico svolgimento della vita cittadina». La Cassazione in 77 pagine di motivazione spiega come il sodalizio mafioso capeggiato da Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi era riuscito a radicare e prosperare nel capoluogo della Tuscia. Sodalizio condannato in via definitiva per associazione mafiosa lo scorso 31 gennaio. La Suprema Corte aveva confermato condanne pesantissime a capi e gregari. Al boss Giuseppe Trovato 12 anni e 9 mesi, al capo in seconda Ismail Rebeshi 10 anni e 11 mesi, a Gabriele Laezza 7 anni, a Spartak Patozi 8 anni e 8 mesi, a Sokol Dervishi (divenuto collaboratore di giustizia in fase processuale) 4 anni e 6 mesi, a Gazmir Gurguri 4 anni e 8 mesi, a Shkelzen Patozi 6 anni e 4 mesi, Fouzia Oufir (compagna del boss) 5 anni, a Luigi Forieri a 3 anni e 6 mesi.

Quella nata e cresciuta a Viterbo è una mafia che ha agito indisturbata per due anni e che è riuscita a sopravvivere anche grazie alla paura e al silenzio della vittime. «Le condotte intimidatorie poste in essere dal gruppo - spiega la Cassazione -, oltre a essere chiaramente idonee a coartare la volontà delle singole vittime, erano espressive di una capacità persuasiva che promanava dal gruppo. Tale forza era in grado non solo di condizionare specifici settori economici, ma l’intero ambiente territoriale sociale di riferimento, influenzandone le dinamiche». Oltre 40 gli attentati incendiari messi in atto dal gruppo tra il 2017 e il 2018. Quasi tutti rivolti agli imprenditori del settore dei compro oro (di interesse di Trovato) o dell’intrattenimento per stranieri e narcotraffico (settori di interesse di Rebeshi).

Trovato e Rebeshi, calabrese il primo albanese il secondo, avevano fatto un patto di acciaio e di mutuo aiuto per riuscire a portare avanti gli interessi. Aiutandosi e spalleggiandosi ogni volta che sorgeva un problema. Il boss Giuseppe Trovato, di origine calabrese con familiari importanti tra le fila della ‘ndrangheta, era l’anima del gruppo sodalizio. E la firma dell’associazione erano gli incendi.

«Gli attentati incendiari - spiegano ancora i supremi giudizi - erano spesso accompagnati da un’attività di intimidazione di chiara tipologia mafiosa: l’invio di proiettili, il posizionamento di teste mozzate di animali. Forza che è sicuramente in grado di condizionare non solo gli specifici settori economici ma l’intera collettività influenzandone le dinamiche. Uso armi nell’ultimo periodo di vita del sodalizio segnale di una crescita di livello della pericolosità dell’associazione e della volontà di rendere sempre più evidente nella comunità viterbese la forza criminale del gruppo». Boss e gregari, fatta eccezione per il pentito Dervishi, sono tutti ristretti in carceri di alta sicurezza. Il boss Rebeshi è rinchiuso al 41 bis. Per molti di loro i conti della giustizia però non sono ancora chiusi. Resta aperta la partita sulla gestione del narcotraffico, per cui la direzione distrettuale antimafia sarebbe già pronta a chiudere il giudizio immediato.

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