Papa Francesco e le parole sull'Ucraina, la diplomazia vaticana all'angolo corregge il tiro: «Esiste un aggredito e un aggressore»

Non è la prima volta che la diplomazia del Papa è costretta ad intervenire per aggiustare il tiro

foto d'archivio: il cardinale zuppi e il nunzio apostolico a Kiev l'anno scorso
di Franca Giansoldati
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Martedì 12 Marzo 2024, 09:43 - Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 09:32

In quasi undici anni di pontificato non è la prima volta che la diplomazia del Papa è costretta ad intervenire per aggiustare il tiro, ricalibrando certe affermazioni papali, spiegando meglio - alle cancellerie - quali fossero le sue reali intenzioni. E' accaduto quando ha definito il patriarca ortodosso Kirill un «chierichetto» del Cremlino, quando ha accusato la Nato di aver «abbaiato» ai confini della Russia provocandola, quando ha pregato per la figlia dell'ideologo Dugin (ideologa dello sterminio degli ucraini lei stessa), quando ha elogiato le radici culturali della «Grande Madre Russia», quando ha tuonato contro Ceceni e Buriati, causando l'irritazione di Khadirov.

Così dopo l'ennesima frittata diplomatica sull'Ucraina e la supposta bandiera bianca che Kiev dovrebbe issare per poi andare al tavolo dei negoziati con la Russia, è arrivata l'esegesi ufficiale del Vaticano. Ieri mattina si sono mossi il nunzio apostolico Vislvaldas Kulbokas - convocato dal ministero degli Esteri ucraino, Kuleba a spiegare quale fosse la linea d'Oltretevere - e il cardinale Parolin.

Kulbokas ha ripetuto che esiste un aggredito e un aggressore e che nulla è cambiato. Cosa che pubblicamente ha fatto anche il cardinale che ha raddrizzato la barra affidando il significato di quella 'correzione' al Corriere.it. «L'appello del Pontefice è che si creino le condizioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura. In tal senso è ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo a una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all'aggressione» ha fatto sapere il cardinale. 

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La domanda del giornalista della tv svizzera al Papa era stata questa: «In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?» Il Papa rispondeva: «È un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l'aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».

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GERMANIA

Nonostante l'intervento diplomatico vaticano le parole di Francesco continuano tuttavia a sollevare perplessità e malumori. Il cancelliere federale Olaf Scholz (SPD) si è detto in disaccordo con il Papa su questo tema, ha spiegato lunedì il portavoce del governo Steffen Hebestreit a Berlino. «L'Ucraina si sta difendendo da un aggressore e sta ricevendo molto sostegno internazionale per questo, anche dalla Germania». Perplessità anche dal governo della Lituania e della Polonia e non mancano obiezioni nemmeno tra i vescovi ucraini. Il vescovo di Kharkiv e Zaporizhia, Pavlo Honczaruk, ad esempio, ha definito i negoziati suggeriti da Francesco «inaccettabili» perché l'Ucraina ha avuto esperienze molto brutte con la Russia: «Il Papa spera che l'aggressore abbia un volto umano. È un errore». Il vescovo ha poi messo in evidenza che nessun ucraino è a favore di una resa. «Questa è una bugia». In quella intervista il vescovo intravede una manipolazione: «Il Papa è un grande sostenitore dell'Ucraina e alcuni malintesi diventano un buon strumento per le forze manipolative a causa della sua spontaneità e ingenuità».

SONDAGGI

Dieci mesi fa, i sondaggisti avevano chiesto agli ucraini quali fossero i leader religiosi di cui si fidavano maggiormente. Papa Francesco si piazzava al quarto posto con il 3,1 per cento, davanti al patriarca ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli (1,8 per cento) e al patriarca ortodosso russo Cirillo I (0,5 per cento). La Chiesa greco-cattolica e il vescovo Sviatoslav Shevchuck è ritenuto un punto di riferimento. «Gli ucraini non possono arrendersi, perché arrendersi significa morte. Le intenzioni di Putin e della Russia sono chiare e inequivocabili». Gli ucraini devono quindi continuare a difendersi. I colloqui con Mosca non avrebbero senso: «La storia recente ha dimostrato che non ci saranno vere trattative con Putin».

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Schevchuck ha sottolineato diverse volte che l'Ucraina ha rinunciato ai suoi missili nucleari nei negoziati di 30 anni fa dietro garanzie di sicurezza per la sua integrità territoriale e l'indipendenza. Il memorandum di Budapest firmato da Russia, Stati Uniti e Regno Unito nel 1994. Una carta di cui troppo spesso ci si dimentica. 

TRADIMENTO

Anche il Consiglio delle Chiese e delle Comunità religiose pan-ucraine ha scelto parole chiare. Se l'Ucraina si arrendesse «in balia del nemico», questo non avrebbe «nulla a che fare con la pace», ma significherebbe la "vittoria della schiavitù sulla libertà». A questo organismo appartengono le 15 più grandi comunità religiose del paese. «Capitolare al male trionfante equivale a un crollo dell'idea universale di giustizia; un tradimento delle linee guida fondamentali che ci sono state in eredità nelle grandi tradizioni spirituali». I fedeli sono quindi benedetti nella difesa del loro paese e continueranno a farlo. Continueranno anche a pregare «per la vittoria sul nemico e una pace giusta».

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