Dopo l'avvertimento degli Usa anche il Papa preccupato lancia un appello all'Azerbajian a tutelare la minoranza cristiana in Nagorno

Dopo l'avvertimento degli Usa anche il Papa preccupato lancia un appello all'Azerbajian a tutelare la minoranza cristiana in Nagorno
di Franca Giansoldati
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Domenica 15 Ottobre 2023, 16:16 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 10:34

Dopo l'avvertimento del sottosegretario di Stato Usa, Antony Blinken che sta monitorando la situazione in Caucaso poiché l'Azerbaigian potrebbe invadere presto l'Armenia, anche il Papa al termine dell'Angelus ha tuonato contro i rischi di un ennesimo conflitto: «Non è venuta meno la mia preoccupazione per la crisi nel Nagorno-Karabakh. Oltre che per la situazione umanitaria degli sfollati - che è grave -, vorrei rivolgere anche un particolare appello in favore della protezione dei monasteri e dei luoghi di culto della regione. Auspico che a partire dalle autorità e da tutti gli abitanti possano essere rispettati e tutelati come parte della cultura locale, espressioni di fede e segno di una fraternità che rende capaci di vivere insieme nelle differenze». Poco prima aveva chiesto in modo accorato: «Per favore, non si versi altro sangue innocente, né in Terra Santa, né in Ucraina o in qualsiasi altro luogo! Basta!  Le guerre sono sempre una sconfitta, sempre!». 

Da tempo il Papa fa riferimenti espliciti a quella che lui chiama la “terza guerra mondiale a pezzi”, riferendosi alla mancanza di equilibri internazionali e alla costante perdita del multilateralismo. Il nodo del Nagorno è sotto i riflettori sia sotto l'aspetto umanitario, sia per la distruzione sistematica dei monasteri cristiani, luoghi di culto antichissimi che dopo la resa della regione, passando sotto l'autorità azera, rischiano di essere cancellati per sempre come in alcuni casi dimostrano le fotografie che circolano sui social. 

Papa Francesco quest'estate ha inviato in loco il cardinale Pietro Parolin per una serie di colloqui prima in Azerbajian e poi in Armenia nel tentativo di cercare strade per la mediazione e per cercare di ottenere il rilascio di soldati prigionieri. Il Vaticano  sa bene che la situazione in quell'area del mondo rischia di nuovo di esplodere. A far da detonatore ci sono quaranta chilometri definiti strategici che potrebbero cambiare l'intera geopolitica tra Oriente e Occidente.

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Si tratta di un corridoio in territorio armeno per il quale l'Azerbaijan vorrebbe l'extraterritorialità per realizzare e controllare la più breve e sicura rotta di trasporto tra il Pacifico e l'Atlantico, espandendo i commerci tra Europa e Asia. Il Vaticano in silenzio sta cercando di aiutare i Paesi dell'area a dialogare e ad evitare che la situazione possa sfuggire di mano e imboccare una via di non ritorno mentre il tragico esodo di oltre centomila armeni è passato quasi inosservato. Abitavano nell’enclave del Nagorno Karabach ma dopo i bombardamenti e la resa del mese scorso hanno dovuto abbandonare in massa case, terreni, proprietà, una vita intera.

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C'erano speranze per il vertice del 5 ottobre, a Malaga, dove erano programmati dei colloqui tra il premier armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev sotto lo sguardo di Francia, Europa, Spagna.All'ultimo minuto il leader azero ha declinato l'invito non facendo presagire nulla di buono per il futuro. «La Santa Sede sta facendo il possibile, abbiamo rapporti diplomatici con l'Arzebaijan. Loro chiedono un contatto, noi non lo negheremo questo contatto. Bisogna vedere a che cosa porterà e in che misura noi saremo influenti nel gestire questo contatto». Aveva dertto il Prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, il cardinale Claudio Gugerotti.

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Baku non ha mai fatto mistero di puntare da tempo al corridoio di Zangezur quale elemento fondamentale della rotta di transito delle merci, nelle rotte di trasporto internazionale est-ovest. Visto che il conflitto ucraino ha sconvolto le vie di trasporto che prima passavano dalla Russia, è proprio la possibilità di realizzare un percorso sicuro e alternativo a cambiare in prospettiva la geopolitica del Caucaso con il controllo esclusivo azero di quei 40 chilometri.

Da Pechino, attraverso l'Asia centrale, il Mar Caspio, il Caucaso meridionale, passerebbero dall'Azerbaijan, transitando dalla Turchia per arrivare fino all'Adriatico. In questo corridoio si incrociano gli interessi delle potenze regionali e dei grandi mercati asiatici. A creare problemi non è tanto la realizzazione ma la richiesta di extraterritorialità.

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Nel 2021, durante un'intervista a AzTV, il presidente dell'Azerbaigian aveva affermato di stare implementando il corridoio di Zangezur, «che l'Armenia lo voglia o no», anche a cosrto di usare la forza nel caso mancasse il consenso dell'Armenia. Aliyev ha anche detto che "il popolo azero tornerà a Zangezur, da cui è stato portato via 101 anni fa".

La tensione nella regione è alle stelle. L'Iran (alleata dell'Armenia) da tempo preoccupata per la minoranza azera e per le ripercussioni sull'intera regione che il corridoio di Zangezur avrebbe, ha fatto indirettamente sapere che in caso di attacco all'Armenia potrebbe intervenire. Erevan collabora strettamente con l'Iran sul piano commerciale ed economico: importanti joint venture, progetti idroelettrici, fornitura di elettricità, gas, lavorazione di idrocarburi, concentrati di rame le cui esportazioni sono uno dei principali prodotti iraniani in crescita, nonostante le sanzioni in corso.

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Con la resa del Nagorno Karabakh il presidente azero Aliev ha tenuto diversi discorsi ed è stato chiaro sul fatto che le ambizioni territoriali del suo paese non si fermano al Nagorno-Karabakh. E così in molti osservatori ora si chiedono con insistenza quale sarà il prossimo passo, se sarà ci davvero la prossima guerra per l'Armenia. Naturalmente Baku sa che il presidente Erdogan non si opporrebbe al controllo totale del corridoio Zangezur (che attraversa l'Armenia meridionale fino all'enclave azera di Nakhichevan) poiché darebbe alla Turchia un collegamento ferroviario e autostradale con il resto del mondo turcofono fino all'Asia centrale. Altri attori svolgerebbero un ruolo cruciale nell'area nel plasmare gli eventi nel Caucaso meridionale, per esempio gli Usa che in futuro potrebbero vedere la regione orientata più verso l'Occidente che non appiattita sul mondo russo.

 

Riceviamo da Ilgar Mukhtarov, ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede e pubblichiamo

«Vorrei innnazi tutto chiarire che il Sottosegretario di Stato USA ha smentito per primo le preoccupazioni attribuitegli dalla stampa e citate anche nell'articolo. L'Azerbaigian non ha alcuna rivendicazione territoriale nei confronti dell'Armenia, la guerra tra Armenia ed Azerbaigian è terminata e siamo i primi a voler voltare pagina ed avviare
un'epoca di pace e convivenza. Per quanto concerne le parole del Santo Padre, infatti, non possono che trovarci concordi nella difesa della pace nella regione.
A tal proposito vorrei sottolineare ancora che, in occasione delle operazioni antiterroristiche del 19 settembre scorso, nessuna violenza contro la popolazione civile e nessun danno alle infrastrutture pubbliche civili, inclusi ospedali, scuole e alloggi o strutture culturali/religiose sono stati registrati dalla missione dell'ONU iniziata il 1° ottobre scorso in Karabakh. Anche il Rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Armenia ha confermato che "non sono stati registrati casi di maltrattamenti" e "nessuno 'ha denunciato casi di molestie" tra i residenti del
Karabakh di originearmena. Le sopracitate accuse non trovano conferma neanche dalle associazioni umanitarie e dai corrispondenti presenti nella regione. I residenti armeni che hanno abbandonato il Karabakh - colgo l'occasione per ribadire che non esiste alcuna entità chiamata Nagorno-Karabakh, ma esiste la regione economica del Karabakh dell'Azerbaigian - lo hanno fatto volontariamente. Noi speriamo che presto decidano di rientrare, e a tal fine è stato elaborato un piano di reintegro che, nel rispetto di tutti i diritti riconosciuti ai cittadini dell'Azerbaigian, spazia dal settore economico, amministrativo, a quello dell'istruzione e sociale, inclusi i diritti legati alla professione della propria religione. L'Azerbaigian è un modello di multiculturalismo, e ciò guida ogni nostra azione.

Vorrei ricordare ancora che circa il 20% del territorio dell'Azerbaigian, riconosciuto a
livello internazionale, è stato occupato a seguito dell'aggressione militare dell'Armenia nel 1992-1994. Ribadisco le quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che hanno confermato l'occupazione dei territori dell'Azerbaigian da parte dell'Armenia e chiesto l'immediato e incondizionato ritiro delle sue truppe dai territori della Repubblica dell'Azerbaigian, e due risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L'occupazione delle terre dell'Azerbaigian da parte dell'Armenia e la pulizia etnica a cui sono stati sottoposti gli azerbaigiani che vi hanno vissuto si riflettono chiaramente in numerose decisioni e risoluzioni delle organizzazioni
internazionali. Durante gli anni 1988-1994, più di un milione di azerbaigiani sono diventati rifugiati e sfollati interni dall'Armenia e dalla regione del Karabakh dell'Azerbaigian a seguito della politica di pulizia etnica portata avanti dall'Armenia. Tutti i monumenti di valore religioso e culturale, situati nella regione del Karabakh dell'Azerbaigian e nelle città circostanti, sono stati completamente distrutti a causa degli atti vandalici commessi
dagli armeni. Al contrario, monumenti cristiani sono stati conservati in Azerbaigian per secoli. Uno degli esempi più evidenti è la chiesa armena nel centro di Baku, capitale dell'Azerbaigian. Il 26 febbraio 1992, nell'insediamento di Khojaly, fu compiuto un genocidio contro gli azerbaigiani, a seguito del quale 613 persone, la maggior parte dei quali bambini, donne e anziani, sono state uccise con particolare crudeltà in una sola notte, solo perché erano azerbaigiane. Più di 20 paesi del mondo hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio di Khojaly.
Vorrei aggiungere, in conclusione, che recentemente alcuni mezzi di comunicazione hanno condotto una campagna contro l'Azerbaigian, lontana dalla realtà e colma di
accuse. In questo contesto, le opinioni irresponsabili e accusatorie, espresse da alcune personalità religiose, miravano a confondere il Vaticano e a minare le amichevoli relazioni bilaterali stabilite tra la Repubblica dell'Azerbaigian e la Santa Sede. Invitiamo la comunità internazionale a lanciare appelli che non accrescano l'inimicizia tra i popoli del Caucaso meridionale, ma li invitino alla pace e al dialogo.
L'Azerbaigian ha ripristinato la sua integrità territoriale nella piena tutela della popolazione civile di origine armena, con cui speriamo di poter voltare pagina, insieme, e percorrere un nuovo cammino che porti benessere e stabilità a tutti i Paesi della regione e al Caucaso meridionale nella sua interezza».

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