Terni, sentenza beffa per la strage di Rigopiano. La mamma di Alessandro: «E' come se lo avessero ammazzato per la seconda volta»

Parla Antonella Maria Pastorelli, la mamma di Alessandro Riccetti

Terni, sentenza beffa per la strage di Rigopiano. La mamma di Alessandro: «E' come se lo avessero ammazzato per la seconda volta»
di Nicoletta Gigli
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Venerdì 24 Febbraio 2023, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 09:51

TERNI - Venticinque assoluzioni con formula piena e cinque condanne per la strage dell’Hotel Rigopiano.

In aula, con i parenti delle altre vittime inghiottite dalla valanga, c’è Antonella Maria Pastorelli, la mamma di Alessandro Riccetti, 33 anni ternano. Accanto a lei l’avvocato, Giovanni Ranalli.

Un dolore composto il suo, accanto la certezza che il sacrificio di quel figlio che lavorava come receptionist e che è stato sepolto dalla neve insieme ad altri 28 ospiti del resort di Farindola, avrebbe dovuto avere un’attenzione diversa da parte della giustizia.

Antonella, cosa ha provato quando ha capito che gli imputati erano stati quasi tutti assolti?

«Mi sono sentita morire dentro, è come se avessero ammazzato Alessandro per la seconda volta. Ascoltare quelle parole, sapere che sono stati quasi tutti assolti perché il fatto non sussiste è stata una pugnalata al cuore. Questa tragedia non è servita a niente, è come se non fosse successo nulla e questo non riesco ad accettarlo. Non ce l’aspettavamo questa sentenza, pensavamo che le prove d’accusa fossero schiaccianti e invece il fatto non sussiste. Anche se Alessandro e le altre 28 persone sono state lasciate morire come i topi in gabbia Dovevano aprire la strada, solo quello, li dovevano salvare».

Lei ha sempre detto che Alessandro era tornato a lavorare in Italia, dove si sentiva più sicuro. Anche lei era più tranquilla?

«In effetti ero in pensiero solo per il tragitto che doveva fare con l’auto. Quando mi mandava il messaggio per dirmi che era arrivato ero felice, non avrei mai potuto immaginare il rischio che poteva correre durante il lavoro in albergo. Alessandro, anche se non aveva uno stipendio molto alto, era felice di stare in Italia. Oggi dico che questo non è un paese vivibile, questa non è giustizia. In quest’aula è stata data una brutta immagine dell’Italia».

Teme che la sentenza possa alimentare la violenza di chi si è sentito tradito?

«Non sono una persona vendicativa, soffro molto oggi poi mi rialzerò, ma questa sentenza è troppo dura da accettare. Mio figlio era un angelo, se non esiste la giustizia terrena nella mia fede so che esisterà quella di Dio.  Alcuni parenti hanno avuto reazioni forti. Ci sarebbe da soffermarsi su questa sentenza, che istiga alla violenza, all’anarchia. Sapere che lo Stato non ti tutela crea sentimenti pericolosi, c’è il rischio di episodi violenti perché non tutti abbiamo un equilibrio psichico che ci fa ragionare. Quello di oggi è un dolore sopra al dolore.  Di tutto questo dolore resta il grande affetto tra noi familiari, che potevamo avere una vita diversa se ognuno avesse fatto quello che doveva».

Ci sono familiari che ieri non sono riusciti a contenere la rabbia alla lettura della sentenza

«Sono stati momenti terribili, come si fa a mantenere la calma. C’è un uomo che è rimasto sepolto dalla valanga per sessanta interminabili ore. Mentre aspettava i soccorsi sognava di vedere la moglie che gli dava da bere e non sapeva che lei era morta. E’ troppo da sopportare per qualsiasi essere umano.

Ci sono persone finite a processo che hanno occultato le prove, che hanno cercato di  nascondere quelle telefonate alla prefettura dove rispondeva un operatore che comunicava che non c’era nessuno. La sera precedente la tragedia c’era la turbina pronta a portare i turisti in hotel ma quando c’è stata la valanga non era disponibile».

Dopo la sentenza ha ricevuto il sostegno e la vicinanza delle persone che la conoscono e sanno quanto teneva a una decisione che potesse evitare altre tragedie?

«Si, e sono certa che l’opinione pubblica, anche se non conosce personalmente noi parenti, si farà sentire di fronte a una sentenza del genere. Ringrazio la procura di Pescara, il nostro avvocato, Giovanni Ranalli e quelli di tutte le altre famiglie. Siamo stati sempre uniti in questi sei anni di battaglie. Spero solo che non sia questo l’esito finale, che l’appello possa restituire quella giustizia che oggi non c’è stata. Combatteremo ancora e spero che il sostegno non venga mai meno».

Avvocato Ranalli, che farete ora?

«In attesa di leggere le motivazioni mi aspetto che la procura proceda ad appello senza attendere la sollecitazione delle parti civili. Non credo che, con le energie profuse in questo processo, possa accontentarsi di questa sentenza».

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