Perugia, Basilica di San Domenico: sorpresa, quei dipinti sono di un maestro del ‘900

Perugia, Basilica di San Domenico: sorpresa, quei dipinti sono di un maestro del ‘900
di ​Alessandro Campi, Padre Alberto Viganò
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Giovedì 15 Marzo 2018, 13:32
PERUGIA  - Mistero (per noi) risolto. L’autore dei dipinti commemorativi della Grande Guerra, nascosti a Perugia all’interno della Basilica di San Domenico, ha finalmente un nome e un cognome. E, a sorpresa, sono molto importanti.

Si tratta, ed è una vera sorpresa, di Enrico Cagianelli (Perugia, 1886–Gubbio, 1938), uno dei più importanti artisti umbri del Novecento. Un nome dimenticato, ovviamente ben conosciuto dagli storici dell’arte, i cui lavori in realtà ancora oggi si possono vedere un po’ dovunque nei palazzi, nelle chiese e nelle piazze della regione. Suoi i monumenti ai caduti di Cannara (1921), Gubbio (1923-1924), Monte Castello di Vibio (1925-1926), e Marsciano (1931-1932). Suoi i fregi dell’Aula Magna dell’Università degli Stranieri di Perugia (1937), realizzati insieme con Gerardo Dottori, Bruno Arzilli, Tommaso Peccini, Gracco Mosci e Dino Lilli. Sua la decorazione marmorea della facciata della Chiesa del Gesù di Perugia (1934). Suoi alcuni dei tondi con personaggi illustri per il Palazzo delle Poste di Perugia (un’impresa decorativa alla quale lo spinge il suo maestro dell’Accademia Giuseppe Frenguelli). Sua la Sirenetta in marmo per la Città della Domenica di Perugia (1934). Sue le quattordici stazioni della Via Crucis per la Chiesa di Sant’Agata di Perugia (1935-1936). Sua, realizzata con la collaborazione di Aroldo Bellini, l’impresa dei bassorilievi per i Caduti della guerra nella Chiesa di Sant’Ercolano sempre a Perugia (1922-1924).
Essenzialmente scultore, Cagianelli a livello pittorico ha lasciato solo disegni, bozzetti e opere grafiche. E questo accresce il valore dell’attribuzione ora fatta: quelli di San Domenico sono probabilmente gli unici dipinti di quest’artista che ci siano rimasti.

Cagianelli, amicissimo di Gerardo Dottori sin dal 1907, è stato tra i primissimi futuristi umbri, anche se i suoi lavori a noi noti sembrano mostrare una relativa o scarsa aderenza ai canoni estetico-espressivi del movimento. Ne era consapevole lo stesso Dottori, che in un profilo di Cagianelli apparso nel maggio 1920 su “La Griffa”, lo descriveva con queste parole, ammirate ma dubbiose circa la sua ortodossia e coerenza stilistica: “Futurista? Passatista? Non si può con precisione classificarlo. Se lo si tentasse si avrebbero delle strane sorprese. Certo, come ha detto di lui Marinetti, è uno scultore-nato che possiede una indiscutibile personalità. E’ vario, indisciplinato, volubile nella sua arte. Si lascia portare alla deriva dalla corrente calma o impetuosa delle sue sensazioni. Non si è mai preoccupato di cercare la sua strada. Scorrazza nei campi, scamiciato, inebriandosi della sua libertà.”
Ma come si è arrivati alla scoperta dell’autore e all’attribuzione? Come sempre in questi casi, con un misto di caparbietà e fortuna. All’inizio si era escluso, anche alla luce dei sondaggi effettuati presso studiosi e storici dell’arte umbra, che a realizzare i dipinti fosse stato un artista attivo in zona negli anni del regime fascista. Di quest’opera nessuno aveva memoria o aveva sentito parlare. E la mano, una volta divulgate le foto dei dipinti, a nessuno suonava famigliare, anche se tutti concordavano nel giudicarli di ottima fattura artistica e di uno stile a metà tra il tardo-futurismo e un certo realismo celebrativo di stampo tipicamente totalitario. Due piste locali seguite, rivelatesi però infruttuose, avevano riguardato il folignate Carlo Frappi e il perugino Adalberto Migliorati. S’era dunque pensato ad un artista-soldato di stanza a Perugia negli Anni Venti-Trenta, in considerazione del fatto che dal 1919 al 1943 San Domenico è stato un distretto militare: ma le ricerche negli archivi dell’esercito non hanno fruttato nulla.

La svolta è stata una carta d’archivio segnalata agli autori di questo articolo, avendo saputo della nostra ricerca, da Francesca Cagianelli, storica dell’arte e curatrice museale, ma soprattutto bis-nipote di Enrico, essendo la figlia del nipote di quest’ultimo, Mario Augusto Cagianelli, medico e collezionista. Nelle testimonianze storico-biografiche lasciate da Mario Augusto, si legge di alcune opere dello zio non più reperibili, ma la cui memoria si era tramandata in seno alla famiglia. Tra queste, alla lettera, “la Commemorazione delle battaglie garibaldine, situata all’ingresso del 51° Reggimento Fanteria di stanza a Perugia, ora sede del Museo Etrusco”. La frase contiene alcune piccole inesattezze, ma è inequivoca. I dipinti di San Domenico, che appunto ospitava all’epoca il 51° Reggimento Fanteria “Alpi” (erede dei mitici Cacciatori delle Alpi garibaldini), celebrano in realtà non le “battaglie garibaldine”, ma i fronti di guerra su cui nel ‘15-‘18 furono impegnati – come si evince dagli stendardi dipinti su una delle lunette – i combattenti che erano partiti appunto dall’Umbria inquadrati, oltre che tra i Cacciatori, nel 129° Reggimento di Fanteria Perugia e nel 216° Reggimento Brigata Tevere. Ma questo è davvero un dettaglio storico. Il riferimento al luogo e all’opera è invece chiarissimo, così come il riferimento logistico all’ingresso: la dispensa dove oggi si trovano i dipinti è in effetti appena dopo quello che era il portone d’entrata del complesso militare.
Per convincersi che si era sulla strada giusta è bastato, subito dopo, confrontare i fanti dipinti a Perugia con quello bronzeo che Cagianelli ha realizzato per il monumento ai caduti nella centralissima Piazza dei 40 Martiri di Gubbio. La soluzione era in effetti sotto i nostri occhi! La mano è assolutamente la medesima: stesso slancio plastico, stesso gioco di proporzioni. Ma sono rivelatori anche alcuni particolari: il ripiegamento verso l’interno delle mani, i ginocchi a punta, il naso attaccato alla fronte. Dettagli, l’equivalente di una firma, che si ritrovano anche in altre sue realizzazioni scultoree (ad esempio la perduta statua ‘Il Viandante’, di cui resta però una testimonianza fotografica).
Ma la prova regina, una coincidenza famigliare che spiega in modo persino banale per quale ragione Cagianelli abbia realizzato quei dipinti, l’ha fornita l’aver scoperto che il fratello minore di quest’ultimo, Giuseppe Cagianelli (1890-1965), padre del già citato Mario Augusto, era un militare di carriera, un decorato della Grande Guerra, nonché dal 1934 comandante della zona militare di Perugia. Se hai in famiglia un artista di quel valore a chi altri chiedere di realizzare una simile opera?

C’è ora da risolvere, ma serviranno altre indagini, la questione della possibile datazione di questi dipinti murali. La mancanza di richiami simbolici al regime, farebbe pensare ad un lavoro realizzato nella metà degli anni Venti, prima della fascistizzazione integrale dello Stato, anche se le Forze Armate, fedeli per giuramento ai Savoia, rimasero in parte significativa impermeabili all’ideologia fascista.

Le attribuzioni per definizione posso essere contestate e messe in discussione. Ma se in questo caso sarà confermata anche da altri studiosi, diviene ancora più improrogabile procedere al restauro dei dipinti: ancora in buone condizioni ma bisognosi di un intervento che li metta definitivamente in sicurezza, liberando il ripostiglio dove oggi si trovano ma senza arrecare danno ai frati domenicani che in quegli ambienti vivono e grazie ai quali questi dipinti si sono conservati. Tra l’altro il 2018 è l’ultimo anno delle celebrazioni sulla Grande Guerra. Se non si interviene ora, quando? Ma c’è di più. Esiste a Pisa un “Centro Cagianelli per il 900”, fondato da Francesca Cagianelli, che possiede opere e documenti (fotografici e d’archivio) su Enrico. Una mostra che ricordi e presenti l’opera di quest’artista, anche costruendo un percorso tra le molte testimonianze che ha lasciato in Umbria, sarebbe la degna conclusione della caccia all’autore che ci ha impegnati in questi mesi. E un modo per riappropriarsi, come collettività, della memoria perduta di questo importante artista.
Se qualcuno ci legge – assessorati alla cultura, sovrintendenza, fondazioni bancarie, singoli mecenati – ci aspettiamo un qualche cenno di riscontro.
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