Coronavirus, il bancario Del Savio: «Pmi stremate, non basta dare prestiti, ecco perché»

Maurizio Del Savio, ex direttore generale della Banca Popolare di Todi e della Bcc di Spello e Bettona
di Fabio Nucci
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Sabato 25 Aprile 2020, 16:25
PERUGIA - Cita Luigi Einaudi e Gino Patroni per sottolineare le opportunità per vedere l’Umbria risalire la china dopo l’emergenza sanitaria, in tema di banche locali e burocrazia. A cominciare dalla ricostruzione post-sisma, frenata da un sistema talmente perfetto che con i furbi ha inchiodato anche i cantieri. Bloccato nella sua casa di Fabriano, Maurizio Del Savio, già direttore della Banca Popolare di Todi e della Bcc di Spello e Bettona, da attento osservatore della realtà umbra, inquadra la situazione attuale: particolarmente preoccupante per le piccole imprese.
Dottor Del Savio, che dobbiamo aspettarci dopo il lockdown?
«La situazione è drammatica specie in prospettiva, perché dopo il dramma sanitario ci aspetta quello delle piccole imprese che sono molto preoccupate. Dal punto di vista economico sarà molto difficile, specie per turismo, ristorazione e ricettività: in Umbria era stato un grosso sforzo, con contributi e bandi regionali, per riqualificare il sistema alberghiero e realizzare “spa” importanti. Prima che ricomincino a lavorare ci vorrà tempo: nel frattempo, però, hanno fatto investimenti e contratto mutui».
Come considera le misure per la liquidità?
«Le banche faranno prestiti che per le aziende sono debiti, non contributi; per le banche le pratiche piccole sono anti economiche ma ora non si potranno tirare indietro. Il Decreto parla con grande enfasi della garanzia Sace che si rivolge solo alle grandi aziende. Conta ciò che si dice per le Pmi per le quali gli interventi essenziali sono il prestito da 25mila con garanzia al 100%, quello fino a 800mila euro, con limiti in base a costo e fatturato e garanzia al 90% che può arrivare al 100% con garanzia dei confidi. Bisogna chiarire che quando si dice “senza istruttoria della pratica” ci si riferisce, per i prestiti di 25mila euro, a quella del Fondo centrale di garanzia e non a quella della banca».
C’è anche una terza via che sembra un favore alle banche.
«Prevede che per ogni impresa il plafond di esposizione sia portato a 5 milioni e che la destinazione dei finanziamenti possa essere anche utilizzata anche per estinguere passività pregresse col sistema bancario. Rispetto all’attività ordinaria del fondo (con garanzia all’80%) ogni impresa può chiedere o la banca può proporre un finanziamento che deve essere pari almeno al 10% in più rispetto all’esposizione precedente. Dal punto di vista della banca è un buon affare».
Perché?
«Prima a fronte di 200mila euro di prestito, l’istituto rischiava l’intero importo, oggi a fronte di 200mila euro di esposizione, ad esempio, l’impresa può chiedere al massimo 220mila euro di presiti ma la banca, considerando la garanzia all’80%, rischia solo il 20%, ovvero 44mila euro. Con tale operazione, dunque, il sistema bancario riduce il rischio, che gira allo Stato, e riduce l’assorbimento di patrimonio. Da questo punto di vista il meccanismo può essere visto come un favore per le banche e le più sveglia – e ce ne sono - potranno approfittare di questa misura per mettere una garanzia sulle proprie esposizioni. L’unico freno se l’impresa è “decotta” perché un giorno quello stesso istituto potrebbe essere accusato di cattiva erogazione del credito».
Questa emergenza una sfida per le banche territoriali?
«Si parla di ricostruire il futuro e questa crisi potrebbe essere l’occasione per ripensare il settore delle banche piccole e locali prima che spariscano. Hanno un loro spazio, come dimostrano gli Stati Uniti dove una legge divide quelle di comunità (le community bank), che finanziano l’economia reale, da quelle di investimento (investment bank), che fanno finanza: l’importante è avere regole chiare. Nel 1932 Einaudi diceva: “Si fa un gran parlare di concentrazioni, fusioni, economie di scala nelle banche: è una gran moda, passerà».
Quali priorità per la fase due in Umbria?
«Sembra scontato, ma bisogna ridurre la burocrazia a costo di correre qualche rischio e aumentando la fiducia. Per la ricostruzione post terremoto, ad esempio, è stato studiato un meccanismo talmente perfetto – tra controllori e controllanti in gioco - che è impossibile fare le cose male ma il risultato è che dal 2016 è ancora tutto fermo. Molte famiglie che avevano anche più case in comuni del cratere sismico ne hanno dovuta costruire una ex-novo perché per quelle da ricostruire le domande sono ferme chissà dove e chissà perché».
Non si è fatto tesoro dell’esperienza del 1997.
«Allora non ero ancora in Umbria, ma ci sono città che grazie al terremoto sono state ricostruite: qualcuno avrà esagerato, nel senso che magari non aveva subito tutti quei danni, ma oggi abbiamo interi centri ricostruiti. Tra i due estremi deve esserci una via di mezzo: è vero che ci sono i furbi ma se si ragiona sulle eccezioni, non si fa niente. C’è una poesia di Gino Petroni che recita: “Duemila anni fa Timbri e Teutoni invasero l'Italia. Mario fermò i Teutoni, ma gli sfuggirono i Timbri che arrivarono a Roma”».
Quegli stessi timbri che poi hanno conquistato tutto il Paese, controllandolo ancora oggi.
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