Città di Castello, bimbo annegato in piscina: condannati due operatori

Città di Castello, bimbo annegato in piscina: condannati due operatori
di Enzo Beretta
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Martedì 10 Ottobre 2023, 06:00
CITTÀ DI CASTELLO Il giudice Lidia Brutti del tribunale di Perugia ha condannato a quattro mesi di reclusione (pena sospesa e non menzione) i due giovani di 21 e 24 anni finiti sotto processo in seguito alla morte del piccolo Gianmaria Ciampelli, 6 anni, annegato il 15 luglio 2021 a Città di Castello nella piscina di un centro sportivo durante un campus estivo. 
Gli imputati, difesi dall’avvocati Nada Lucaccioni, erano accusati di omicidio colposo e omesso controllo. I due «addetti al controllo del gruppo di minori» - secondo la Procura - hanno «omesso una concreta vigilanza sui piccoli che non venivano visivamente controllati». I drammatici momenti della morte del bimbo, figlio di un noto allenatore di calcio, sono documentati dal filmato di una telecamera del circuito di sorveglianza diretta verso la piscina dell’azienda agrituristica: il video è finito agli atti dell’inchiesta che nei mesi scorsi ha già portato alle condanne con rito abbreviato - a un anno e ad un anno e otto mesi - dell’amministratrice legale rappresentante della struttura agrituristica e della responsabile del centro estivo.
Secondo un testimone «i familiari avevano portato presso la struttura i braccioli ma gli stessi erano stati lasciati all’ingresso»: neanche Gianmaria indossava li aveva indosso quando è annegato. È emerso che «uno dei due operatori era fuori dalla vasca e si era completamente disinteressato a quanto accadeva in piscina, l’altro era in piscina ma stava intrattenendo un bambino e così non gli era stato possibile accorgersi per tempo di quanto stava accadendo dietro le sue spalle». Si legge nelle carte giudiziarie: «La morte, alla luce delle evidenze mediche, è avvenuta in conseguenza dell’ingresso di acqua nei polmoni, con conseguente edema polmonare e blocco ematico degli altri organi ed apparati». «Il numero particolarmente elevato dei bambini presenti e la mancanza di idonea qualificazione del personale addetto alla vigilanza palesa macroscopiche e gravi carenze nella gestione dell’attività e nella predisposizione delle idonee misure di sicurezza - scrive il giudice per l’udienza preliminare che ha scritto la sentenza di condanna - carenze che assumono rilevanza causale rispetto all’evento morte». C’erano bimbi da vigilare, bimbi con «scarse competenze acquatiche». «Per fronteggiare questi rischi erano stati incaricati due ragazzi che, invece, erano chiaramente privi di competenze specifiche e in particolare non avevano mai frequentato corsi specifici di salvamento in acqua e non avevano conseguito il titolo di assistente bagnanti». 
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