Alla ciclista Alfonsina Morini Strada
va intitolata una via perugina

Alla ciclista Alfonsina Morini Strada va intitolata una via perugina
di Ruggero Campi
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Mercoledì 17 Gennaio 2018, 20:14 - Ultimo aggiornamento: 20:16
Lettera aperta al Sindaco di Perugia Andrea Romizi
Pregiatissimo Sindaco, nella città di Perugia su 2273 strade o piazze, solo 221 sono intitolate a donne, di cui 36 a Madonne, Sante, Beate, martiri e suore, 26 a dee, eroine mitologiche e leggendarie, 60 a nomi propri femminili non meglio identificati. Donne in carne ed ossa ben poche: 16 umaniste o letterate, due imprenditrici, una cantante lirica, nessuna scienziata, nessuna sportiva. Ma, non è mai troppo tardi, c’è modo di rimediare e, mi creda, non è una banale questione di genere. Mi consenta, allora, una sommessa proposta: una grande donna e una leggendaria figura dello sport che proprio a Perugia visse una fase chiave della sua straordinaria carriera. Sto parlando di Alfonsina Morini, coniugata Strada, nata nel 1891 a Riolo di Castelfranco Emilia, figlia di braccianti agricoli poverissimi.

Giocattoli e svaghi erano parole sconosciute. Scoprì la bicicletta quando il padre ne portò a casa una vecchissima e da allora non scese più di sella. Cominciò a gareggiare e con successo, ovviamente contro uomini, perché nell’Italia d’inizio secolo gare femminili non ce n’erano. Sposò Luigi Strada il quale, per le nozze, le regalò una vera bicicletta da corsa. Piccola, muscolosa, estremamente potente, lottava caparbiamente e difficilmente arrivava ultima. Nel 1911 stabilì il record mondiale di velocità femminile: 37 chilometri all’ora! Non era facile a quei tempi per una donna andare in bicicletta, figuriamoci gareggiare con gli uomini: i medici si affannavano a prospettare mali tremendi alle audaci atlete dell’epoca: danni agli organi interni, perdita della capacità a procreare, isteria. Ai benpensanti, cioè alla maggioranza, appariva molto sconveniente che una donna andasse in giro con un sellino tra le gambe, invece di tenerle strette, immobili e con ciò unite!

E arriviamo al 1924 quando Alfonsina divenne, per caso, la prima e ultima donna ad aver mai partecipato al Giro d’Italia: le grandi case avevano boicottato la manifestazione per ragioni economiche e, in mancanza dell’attrazione costituita dai campioni famosi, il patron del Giro ebbe la brillantissima idea di consentire l’iscrizione di Alfonsina. Un’intuizione visionaria, degna dei giorni nostri. Si può immaginare l’interesse spasmodico del pubblico; allora il calcio interessava assai relativamente, mentre il ciclismo attirava folle di tifosi appassionati. La presenza di una donna centuplicò l’interesse, magari a volte ostile e sospettoso, ma sempre interesse. Ma cosa era il Giro d’Italia del 1924? 3164 km per 12 tappe da una città all’altra, su strade bianche, polvere, buche e intemperie, alloggiati in alberghi o sistemazioni di fortuna, che bisognava raggiungere da soli alla fine di tragitti massacranti. Altro che comodi trasferimenti, alimentazione calibrata, abbigliamento tecnicissimo, cambio elettronico, automobili di appoggio, bici di ricambio, psicologi, preparatori, gregari. Le bici erano pesantissime e prive di cambio. Si partiva con il buio e con il buio si arrivava. Un giorno di corsa e uno di riposo, dedicato a riparare la bici e curare i danni fisici. Il Giro moderno, circa 21 tappe per 3500 km su strade di velluto sembra una bazzecola.

Alfonsina si comportò più che onorevolmente fino al dramma della terrificante ottava tappa: L’Aquila-Perugia, 296 km di salite massacranti con un tempo infernale. Cadde, ruppe il manubrio, lo riparò con un manico di scopa: l’arrivo in Corso Vannucci a Perugia, mezza congelata e ferita, nel cuore della notte, fu ben oltre il tempo massimo. Il sogno sembrava finito, per regolamento andava rimandata a casa. Ma il direttore della Gazzetta dello Sport, Emilio Colombo, capì - se non il valore della sua prestazione, certo quello dell’indotto - e, pagandole personalmente l’alloggio, le consentì di continuare a correre fino a Milano. Erano partiti in 90, arrivarono in 30 e tra questi c’era una donna, accolta, inutile dirlo, con onori trionfali. E allora, Signor Sindaco, se a Perugia si concluse la tappa più dura di quello storico Giro, entrato nella storia proprio per la partecipazione di una atleta straordinaria, e se proprio a Perugia fu presa la storica decisione di lasciarla correre fino all’ultima tappa, sarebbe bello che tra tante colleghe celesti, divine e mitologiche trovasse posto anche lei, la sportiva Alfonsina Morini Strada, che nella leggenda è entrata di diritto e Perugia non deve dimenticare. Con la massima stima e considerazione.
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