«L'odio per i bianchi è la nostra forza»
il libro choc del papà delle Williams

«L'odio per i bianchi è la nostra forza» il libro choc del papà delle Williams
di Angelo Mancuso
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Lunedì 28 Aprile 2014, 10:19 - Ultimo aggiornamento: 12:45
Tutti conoscono la storia di Serena e Venus Williams, capaci di conquistare, in due, 24 titoli dello Slam e di dominare da oltre un decennio. Dietro il travolgente successo delle due sorelle di colore c’è papà Richard: mentore, coach, preparatore, manager. È stato l’unico a credere nelle figlie quando tutti gli davano del pazzo visionario. La leggenda vuole che da ragazzine le facesse allenare sui campi pubblici di Compton, malfamato sobborgo di Los Angeles, schivando i proiettili delle bande rivali. Esagerazioni? Probabilmente sì. Il 6 maggio uscirà negli Stati Uniti la sua autobiografia scritta con Bart Davis: un libro verità che farà conoscere al mondo il Richard segreto e del quale il “New York Daily News” ha pubblicato alcuni stralci. Una denuncia contro il razzismo il cui titolo è “Black and White: the way I see it”, “Bianchi e neri: ecco come la vedo io”.



E’ la storia cruda e violenta di un ragazzo abbandonato dal padre che aveva abusato della madre Julia, lasciata sola con cinque figli da crescere. «Odio il mio nome perché mi ricorda l’uomo che ha violentato mia madre ed è scappato». È il racconto di un bambino cresciuto a Shreveport, nella Lousiana del Ku Klux Klan e dei soprusi contro i neri. Non deve sorprendere se da 13 anni le due Williams disertano Indian Wells. «Il ritiro in semifinale di Venus, che non giocò contro Serena per un infortunio vero, scatenò il razzismo del pubblico - si legge nel libro - ero in tribuna per assistere alla finale, mia figlia in campo e ci urlavano: “Via di qui negri!”».



«VOLEVO DERUBARLI»

Era il 2001. Un messaggio dal passato che l’America ha cercato di lasciarsi alle spalle, ma che non si può dimenticare. Come non dimentica Richard. «Io e la mia famiglia - racconta - vivevamo in una baracca a pochi metri dai binari della ferrovia. Quando avevo 8 anni sono rimasto affascinato dall’idea di rubare ai bianchi. Il mio migliore amico era un ragazzo chiamato Lil Man (Piccolo uomo). Trovammo il suo corpo senza vita appeso a un albero: quelli del Ku Klux Klan gli avevano tagliato le mani. Non ci fu alcuna indagine». Era il profondo sud del “Buio oltre la siepe”, celebre romanzo di Harpeer Lee approdato a Hollywood. Ancora nel libro: «Il Ku Klux Klan imperversava. Una volta sono stato aggredito da tre bianchi per strada, ero coperto di sangue e polvere. Alzai gli occhi e vidi mio padre tra la folla: assisteva alla scena senza muovere un dito. La rabbia era la mia vita, ho trovato la forza sfidando i bianchi. Prima di lasciare Shreveport per Chicago ho voluto restituire il male che mi era stato fatto. In un quartiere bianco ho indossato il vestito del Ku Klux Klan e una maschera sul viso. Ho scelto le mie vittime: un agricoltore e il figlio adolescente, seduti sulla panchina di un parco. Bevevano e fumavano. Il mio odio era incontrollabile: ho afferrato un bastone, mi sono avvicinato alle loro spalle nel buio, li ho colpiti alla testa, hanno gridato e sono caduti per terra». Oggi quel ragazzo che una notte, per vendetta, è andato a bastonare due bianchi, è un rispettato 72enne che ha vinto la sua scommessa rivoluzionando il tennis femminile. Con il sigaro in bocca segue i match delle figlie sui campi di tutto il mondo, circondato da gente che gli stringe la mano. “I have a dream”, diceva Martin Luther King. Richard il suo sogno lo ha coronato davvero.
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