«Lazio, squadra del cuore». I biancocelesti sono il bersaglio preferito di Pellissier: 7 gol

«Lazio, squadra del cuore». I biancocelesti sono il bersaglio preferito di Pellissier: 7 gol
di Matteo Sorio
3 Minuti di Lettura
Giovedì 27 Novembre 2014, 06:07 - Ultimo aggiornamento: 08:51
«Lazio? Per me, squadra del cuore...». La sua torta dei gol in serie A vanta 88 fette, 7 di queste Sergio Pellissier le ha fatte assaggiare ai biancocelesti: da lì la battutina e da lì la chiacchierata col capitano del Chievo, 35 anni - di cui 12 passati a Verona - e oltre 400 presenze in gialloblù.

Qual è, Pellissier, la cartolina più bella legata alla sua vittima preferita?

«Troppo facile: 15 marzo 2009, 3-0 per noi all'Olimpico. Parto da metà campo, ne supero due e scavalco Muslera con un tocco sotto. Fu un misto di fortuna e cocciutaggine, quella del montanaro che viene dalla Valle d'Aosta ed è stato cresciuto da un padre, macellaio, che quando vuol fare una cosa la fa. Io volevo far gol e ne uscì uno dei più belli della mia carriera».

L'avversario biancoceleste più forte?

«Angelo Peruzzi. Era un Chievo-Lazio di tanti anni fa. Stavo a un metro e mezzo dalla porta, colpii di testa all'angolino e lui scese giù con una facilità pazzesca nonostante i cento chili che si portava addosso. Ricordo pure i duelli rognosissimi con Nesta e Stam, difensori d'altri tempi".

Se le diciamo Stefano Pioli?

«Dopo la mia doppietta al Cesena m'hanno chiamato due allenatori: uno è Di Carlo, l'altro è Pioli. Stefano è un amico e un uomo eccezionale. Prima che iniziasse questa stagione ero in difficoltà, sembrava non giocassi e dovessi lasciare il Chievo. Volevo una sua opinione, gli telefonai e lui m'incitò a credere in ciò che faccio. Già solo avere l'apporto di una persona che sa cosa puoi dare, che sa cos'hai dentro, è impagabile. Da lui ho imparato tanto. Allenatore che ascolta molto i giocatori e crede in quel che possono esprimere. Qui da noi, era il torneo 2010-11, fece talvolta scelte legate più alla personalità che alla qualità, e nella maggior parte dei casi ci prese. Quando andò via ci rimasi male. Credo che anche il presidente Campedelli, col senno di poi, l'avrebbe tenuto. Il suo calcio, poi, è bello perché propositivo. Soprattutto in Italia, oggi, si bada soprattutto a difendere. Io ho sempre pensato che con due attaccanti hai più opportunità di segnare. E Pioli, al Chievo, ha quasi sempre schierato le due punte col trequartista».

Lei ha un debole per Klose, giusto?

«Detesto gli egoisti e Miro sarebbe il mio compagno di reparto ideale. È uno che quand'è il momento rischia il dribbling per concludere e quando non è il momento la passa al compagno per fargli segnare il gol facile».

I precedenti tra Chievo e Lazio cosa le insegnano?

«Che è sempre molto complicata perché la Lazio gioca bene. Puoi batterla solo se è nel suo momento peggiore, come in quel 2009. E anche oggi non possiamo sottovalutarla. Sì, i 9 gol subiti nelle ultime cinque partite, gli svantaggi non recuperati, qualche lacuna può esserci. Ma una big non perde tre gare di fila, la Lazio ne somma già due, peraltro ingenerose, e resta una squadra da Europa. Noi invece, fin qui, avevamo lasciato per strada 8 punti nell'ultima mezz'ora. Psicologicamente è stato fatto un passo avanti a Udine. È un momento più positivo del solito, ma non siamo tranquilli, restiamo sempre sul filo, terzultimi. E sabato possiamo spuntarla soltanto non facendoli giocare. Cito ancora Udine: appena abbiamo iniziato ad attaccare un po' più alti, l'avversario non è più uscito dalla propria metà campo. Se la lasciamo palleggiare in scioltezza, la Lazio ci fa una testa tanta».

E Pellissier?

«Coi due gol al Cesena è iniziato per me un nuovo campionato. Spero di contribuire alla salvezza. E magari di toccare quota 100 reti in serie A. Me ne mancano 12. Con la Lazio ci provo. Mi spiacerebbe per il mio amico Pioli, ma il lavoro è lavoro...»