»Eriksson come sta? Mancini: «Lotta come un leone, quando l'ho sentito è stato lui a confortare me: è un uomo incredibile»

Il tecnico svedese ha un tumore e un anno di vita. L'amico e allievo: «Non so come trovi tutta questa forza, ma non mollerà»

Eriksson, Mancini: «Lotta come un leone, quando l'ho sentito è stato lui a confortare me: è un uomo incredibile»
di Alberto Dalla Palma
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Venerdì 12 Gennaio 2024, 07:07 - Ultimo aggiornamento: 09:19

Un amore nato nell’estate del 1992 e mai finito. Un amore diverso da quello che lo legava a Vialli ma comunque indissolubile. Sven Goran Eriksson fu definito da Roberto Mancini un grande fratello quando insieme avevano iniziato la ricostruzione della Samp post Wembley (sconfitta in finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona e abbandonata da Boskov) e quando poi si sono trasferiti in coppia a Roma per fare grande la Lazio di Cragnotti. Lo svedese, nel primo incontro-trattativa, disse all’imprenditore di via dei Cappuccini che se gli avesse comprato Mancini, Mihajlovic e Veron la squadra biancoceleste avrebbe vinto tutto. In realtà non vinse tutto ma quasi. E alla fine sono rimasti otto anni l’uno al fianco dell’altro. «E’ stato davvero uno dei più grandi allenatori di sempre, unico nel suo genere. Magari non sempre apprezzato all’esterno ma amatissimo da chi lo ha avuto e da chi lo ha frequentato». 

Sono le 14 del pomeriggio di giovedì 11 gennaio, la Lazio ha vinto nella notte il derby di Coppa Italia e Roberto Mancini ha appena sentito Eriksson al telefono. Da Riad a Stoccolma per un amore eterno.
«Volete sapere come l’ho trovato? Benissimo, come sempre, perché lui è una persona incredibile».

Ci racconti, per favore: Sven ha un anno di vita e sorride lo stesso?
«Assolutamente sì, mi ha fatto una grande impressione e sono convinto che con questo spirito lotterà contro il male come hanno fatto Vialli e Mihajlovic».

Chi ha confortato l’altro?
«Lui me, di sicuro. È un uomo forte, incredibile.

Sembrava una telefonata tra due amici che non si sentivano da tempo, come se quella malattia non ci fosse proprio».

E, invece, c’è.
«Ma non si vede: nel senso che il carattere di Eriksson è sempre il solito. Affronta le battaglie professionali e di vita con lo stesso spirito. La morte non gli fa paura, la combatte».

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L’ultima volta che vi eravate sentiti?
«Qualche mese fa, quando sono venuto a conoscenza della sua malattia. Un brutto tumore, ma non pensavamo ad una confessione del genere. Appena ho letto, l’ho subito cercato. In un primo momento non mi ha risposto, poi mi ha richiamato lui».

Vi siete commossi al telefono? Avete parlato anche di Sinisa e Gianluca?
«No, non erano gli argomenti giusti. Gli ho chiesto come sta e come si sente. Sapete che non parla più molto l’italiano? L’ha un po’ perso dopo tanti anni, ci siamo confrontati in spagnolo e in inglese. L’ho sentito con uno spirito positivo».

Lo stesso con cui si sosteneva nei momenti bui: affrontò il futuro con allegria anche dopo gli scudetti persi con la Roma e con la Lazio.
«Mai una polemica, mai una caduta di stile, mai un intervento fuori dalle righe. Non so dove riesca a trovare questa forza, sta lottando come un leone anche se mi ha confermato che la sua vita ha già un limite segnato. Parla di un anno, forse anche meno, ma io ci spero e ci credo».

Una telefonata che avrà commosso anche un freddo come Sven.
«Abbiamo chiacchierato e scherzato, io urlo forza Eriksson come ho fatto al telefono. Non deve mollare e non mollerà. Gli stiamo accanto, ora sa che tutti i suoi ex giocatori sono pronti a sostenerlo in questa fase così difficile della sua vita. Chi non potrebbe essere riconoscente di fronte a una persona come Sven? Lo ripeto pubblicamente, tramite voi: coraggio mister, non puoi perdere questa partita».

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