Con i colori della nazionale è riuscito a planare al terzo posto degli Europei del ‘60. E il 13 dicembre del ‘58 ha anche segnato una rete contro l’Italia: coppa Internazionale, stadio Ferraris di Genova, Italia-Cecoslovacchia 1-1 con i gol per l’appunto di Masopust e di Galli. Ha legato la carriera ad un club su tutti, il Dukla Praga, e lo ha aiutato a conquistare otto campionati e tre coppe, gli ultimi nel ‘66. Nel ‘73 ha salutato il campo ed è scivolato sulla panchina: sempre del Dukla. Curioso ma non visionario, ha accettato l’incarico di ct della nazionale cecoslovacca e, nel 1988, di tecnico dell’Indonesia Under 19. A 69 anni il trionfo, piovuto con la nomina di miglior calciatore ceco del secolo. «L’ho molto ammirato», ha confidato ieri il presidente della Uefa, Michel Platini. Ad esplorare gli archivi, si scopre che fino al ‘68 a Masopust non fu consentito di giocare in un club straniero: erano le regole del blocco comunista. Così divenne formalmente un professionista a 37 anni e andò a giocare in una squadra belga.
Fra i cechi (o cecoslovacchi), soltanto Pavel Nedved ha seguito il sentiero di Masopust, lungo l’orizzonte del Pallone d’oro. Un tratto che li accomuna, ma ne evidenzia pure la diversa indole. «Josef è stato il nostro miglior giocatore di tutti i tempi. Per me e per tutti noi è stato un grande modello come giocatore e come persona», ha sussurrato l’ex juventino e laziale. Un modello, una leggenda. Per commemorare il 50esimo anniversario del secondo posto centrato dalla Cecoslovacchia al Mondiale del ‘62, davanti allo stadio del Dukla Praga già nel 2012 avevano dedicato una statua al talento di Masopust. È stato un campione. Il suo nome oggi non rimbomba nelle televisioni, e neppure sui campetti dei ragazzi, dove rotola spesso quello di un altro cecoslovacco, Antonin Panenka, il papà del «cucchiaio», campione d’Europa nel ‘76. Ma Masopust ha scritto pagine storiche del calcio europeo. Magari sbiadite dal tempo, eppure indelebili.
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