E allora cosa c'entra una nazione fatta di 170 isole sparse nel Pacifico con lo sci di fondo? In Polinesia va di moda il rugby, la neve si vede solo in cartolina - ammesso che ne sentano il bisogno - ed è difficile immaginare che i tongani rimarranno attaccati alla tv per seguire le gare di PyeongChang. «Ho deciso di provare questa impresa - ha spiegato Pita - subito dopo Rio», ovvero 24 ore dopo la famosa sexy sfilata: a dispetto del suo ottimo stato di forma fisica apparente, due anni fa andò fuori dal torneo di taekwondo al primo turno.
Anche stavolta le possibilità di risultato sono assai scarse, ma non è questo il senso decoubertiniano dei Giochi. «Quel giorno mi sono detto: devo dare tutto per tornare alle Olimpiadi, e dimostrare che tutto è possibile. Sarà la gloria o la fine», ha spiegato al canale tv del Cio Pita, che si allena in Australia e per inseguire la sua avventura ha aperto un crowdfunding via social. Sempre meglio dell'unico predecessore finora ai Giochi invernali, quel Fuhae Sami che per andare a Sochi nello slittino cambiò nome e gareggiò come Bruno Banani, l'improbabile nome di una marca di slip tedesca che lo sponsorizzò. «Oggi io sono a pezzi finanziariamente, ma felicissimo - conclude Pita - Dietro questo miracolo c'è un enorme lavoro, anche se il mondo vede in me solo il ragazzo 'lucidò di Rio». E a dire il vero, quello stesso mondo ora si chiede con che divisa sfilerà Pita Taufatofua al freddo di PyoeongChang.
© RIPRODUZIONE RISERVATA