I 100 anni di Charlot, genio vagabondo: torna in sala "La febbre dell'oro"

I 100 anni di Charlot, genio vagabondo: torna in sala "La febbre dell'oro"
di Fabio Ferzetti
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Sabato 1 Febbraio 2014, 13:05 - Ultimo aggiornamento: 3 Febbraio, 19:50
Un romanzo breve, di stile addirittura dickensiano, scritto da Charlie Chaplin ripensando agli anni della sua giovinezza e al mondo del music-hall londinese. Titolo: Footlights.

È il primo, robusto embrione, rimasto incredibilmente inedito per più di sessant’anni, di quello che dopo molte correzioni sarebbe diventato Limelight, cioè Luci della ribalta, amaro capolavoro della maturità chapliniana.



Questo breve romanzo, di cui anticipiamo l’incipit e una scena rimasta fuori dal film, è il pezzo forte di un sontuoso volume di David Robinson, massimo esperto di Chaplin al mondo, che la Cineteca di Bologna pubblica in inglese per festeggiare il centenario di Charlot. La versione italiana è prevista per l’autunno. Il volume sarà presentato al British Film Institute di Londra il 4 febbraio, alla presenza dell’autore e di Claire Bloom, la protagonista di Luci della ribalta.



Ma il libro di Robinson, una miniera di informazioni e di immagini rare su Chaplin, la sua famiglia di artisti del varietà, la Londra in cui era cresciuto a cavallo del secolo, è solo l’inizio dei festeggiamenti programmati dalla Cineteca di Bologna per rendere omaggio al genio del comico. Che apparve per la prima volta nei panni del vagabondo - scarpe enormi, bastoncino, calzoni larghi, giacchetta striminzita - esattamente cent’anni fa nella comica Kid Auto Races at Venice. Girato il 17 gennaio 1914, questo corto da 7 minuti torna sugli schermi abbinato alla versione restaurata de La febbre dell’oro, che sarà in 76 cinema italiani per tutto il mese ogni lunedì e martedì, a partire dal 3 febbraio.



ICONA DEL ’900

Una riscoperta entusiasmante. Perché per tenere a battesimo questo personaggio destinato a diventare un’icona del ’900, ma qui ancora dispettoso e tutt’altro che romantico, Chaplin e la sua troupe si mescolarono al pubblico di una vera corsa per auto contaminando allegramente documentario e finzione, come del resto il cinema ha fatto fin dalle origini (strana coincidenza: intorno alla pista appare un ragazzo con una maglia su cui campeggia il logo Fiat, che dal 1909 produceva auto negli Usa. Altri tempi...).



Anche se naturalmente il pezzo forte resta La febbre dell’oro, il film che Chaplin considerava il suo capolavoro assoluto, restaurato e riportato alla giusta velocità (addio effetto Ridolini), nonché arricchito dalla partitura originale di Chaplin, sostituita nella versione sonorizzata del 1942.



Nato quasi per caso, guardando con Douglas Fairbanks diapositive dell’Alaska e del Klondike, The Gold Rushresta il film forse più ricco di gag indimenticabili di tutta la produzione chapliniana. Eppure quelle scene che avrebbero fatto sbellicare le platee e innamorare i critici del mondo intero - la danza dei panini, lo scarpone cucinato e mangiato come un piatto succulento, Big Jim che accecato dalla fame vede Chaplin come un enorme pollo - nascevano dalle vicende spesso tragiche di veri cercatori d’oro.



Ma Chaplin sapeva benissimo cosa stava facendo, come provano tutti i suoi scritti. E come avrebbe confermato tanti anni dopo quando, spedito in esilio dall’America di McCarthy, e perseguitato da giornalisti tirapiedi, dichiarò: «Credo nella libertà. Tutta la mia politica è qui. Sono per gli uomini perché questa è la mia natura. Non credo ai virtuosismi tecnici. Credo alla mimica, credo allo stile. Non pretendo d’avere una missione. Il mio scopo è dar piacere alla gente».
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