Il cast schiera alcuni degli interpreti più prestigiosi del panorama mozartiano dei nostri anni: Bernard Richter è Idomeneo, Julia Kleiter è Ilia, Michèle Losier è Idamante e Federica Lombardi, già allieva dell’Accademia scaligera e fresca vincitrice del Premio Abbiati dell’Associazione dei Critici Italiani, è Elettra.
La prima grande opera seria di Mozart, tra classicismo e Sturm und Drang “Idomeneo” segna la consacrazione del venticinquenne Mozart nel campo dell’opera seria dopo i primi esperimenti degli anni milanesi. Commissionata nel 1780 dal principe elettore Carlo Teodoro di Baviera e andata in scena nel 1781 nello splendido Cuvilliés Theater di Monaco, l’opera si avvale di un libretto di Giambattista Varesco (già collaboratore di Mozart per L’oca del Cairo e Il re pastore) tratto dai versi di Antoine Danchet per la tragédie lyrique Idomenée di André Campra del 1712.
La composizione dell’opera è tortuosa, con ampi ripensamenti e dubbi, legati anche alle personalità degli interpreti, e il risultato è un capolavoro cruciale nella storia del melodramma. A partire da una struttura drammaturgica ancora metastasiana, Mozart inserisce recitativi accompagnati che danno continuità al dramma, mentre i vasti concertati risultano debitori dell’esperienza gluckiana e l’orchestra, anche grazie alle superbe qualità della compagine di Mannheim, assume ruolo di autentico personaggio.
Idomeneo diviene così una magistrale summa delle tendenze del teatro musicale dell’ultimo quarto del ‘700 e presenta a studiosi e interpreti un ampio ventaglio di possibilità. Il libretto di ispirazione classica si colora grazie alla musica di Mozart di accenti e turbamenti nuovi: il trionfo finale della coppia giovanile sulla tirannica figura paterna è certamente una metafora dell’avvento delle monarchie illuminate ma anche un riflesso di nuove sensibilità preromantiche in cui il conflitto tra padri e figli assume un ruolo centrale.
Mentre Mozart componeva Idomeneo, Schiller scriveva “I masnadieri” (1782).
Proprio i fremiti “Sturm und Drang” che percorrono la partitura sono all’origine della lettura di Matthias Hartmann. In buca, spiega Diego Fasolis, «l’orchestra della Scala suona su strumenti moderni ma è chiaro che si sente il profumo del lavoro che da qualche anno si sta facendo su strumenti originali e con prassi storicamente informate».
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