Il potere dei simboli». Allestita allo Stadio di Domiziano dal 16 ottobre al 15 aprile. Dopo averli recuperati nel corso
di attività di tutela dei beni culturali svolte in Italia e all'estero (tra Svizzera e Stati Uniti), la Guardia
di Finanza ha infatti aperto i propri caveau per restituire al pubblico opere e manufatti di interesse
archeologico in grado di accendere i riflettori sulla vita quotidiana nell'antichità. Dalle credenze
magico-religiose al contesto politico sociale, dal mondo funerario all'alimentazione: sono questi i temi a cui sono dedicate le 4 sezioni della mostra, per documentare l'importanza e il significato della simbologia tra le popolazioni vissute migliaia di anni fa.
«La mostra è pensata per andare oltre l'oggetto stesso, decodificando il messaggio che c'è dietro anche per chi non è del mestiere. Vogliamo svelare ciò che gli antichi vedevano con i loro occhi», ha spiegato l'archeologo e curatore Vincenzo Lemmo. Il gallo come simbolo di seduzione, potenza e virilità, i chiodi per inchiodare le anime nell'aldilà, le lucerne come luce e guida per il defunto: sono solo alcuni dei significati a cui vasi, monete, lance, elmi e cinturoni possono ricondurre. Veri gioielli di questa esposizione, promossa dall'Associazione culturale Vicus Italicus in collaborazione con il Nucleo di Polizia Tributaria Roma della Guardia di Finanza, sono i reperti provenienti dall'area di Pantanacci, dove la Soprintendenza per l'archeologia
del Lazio e dell'Etruria meridionale e il Museo Civico Lanuvino hanno condotto scavi dai risultati sorprendenti.
All'interno di una cavità nascosta da una parete in tufo, forse una sorta di santuario rupestre collegato al
culto di Giunone Sospita (a cui era dedicato il tempio di Lanuvio), sono stati infatti rinvenuti circa 5000 ex
voto, tra uteri, falli, vesciche, mani, seni e rarissimi cavi orali, oltre a blocchi di peperino con squame
incise (il riferimento è al serpente, l'animale totemico di Giunone Sospita), tutti manufatti mai esposti al
pubblico e databili dal IV-III secolo a.C. al I secolo d.C. Questi oggetti, scoperti durante un'operazione che ha sgominato una banda di «tombaroli», sono stati dunque sottratti al mercato illegale.
Quest'ultimo rappresenta una vera e propria emorragia per il patrimonio culturale italiano: un furto dai numeri significativi, se si conta che «le attività di scavi clandestini - ha continuato Lemmo - rappresentano il terzo introito per la criminalità, dopo stupefacenti e armi». Ma il problema della spoliazione del museo diffuso italiano non è solo in relazione al valore economico, ma soprattutto a quello scientifico-culturale. «Gli oggetti trovati sono decontestualizzati: noi le chiamiamo opere mute, ossia senza storia», ha spiegato Massimo
Rossi, Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, «solo grazie al lavoro degli archeologi possiamo conoscere informazioni». E purtroppo il fenomeno non accenna a diminuire: «ormai i tombaroli subappaltano gli scavi agli immigrati per sfruttarli», ha proseguito, «e spesso accanto al furto vengono anche distrutte le strutture architettoniche originarie dei siti».
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