L'estate e quella coda infinita per andare in vacanza

Foto di Nicola Alessandro Schiazza
di Luca Ricci
3 Minuti di Lettura
Sabato 1 Agosto 2020, 08:38
Pubblichiamo, in esclusiva, un estratto del libro "Gli estivi" di Luca Ricci, edito da La Nave di Teseo

Al secondo o terzo giorno d’ingorgo – le macchine si muovevano di qualche centimetro all’ora – persi i sensi. Non era tanto il caldo (avevo pur sempre l’aria condizionata di serie) quanto l’aver cominciato a riflettere sulla lunghezza teorica della coda: chi aveva provato a risalirla a piedi non era più tornato.

“Possibile che non arrivino i soccorsi, che non si sia ancora vista una volante della polizia o sentita la sirena di un’ambulanza?” chiese Ester mentre mi dava dei piccoli schiaffetti sulle guance per farmi riprendere.

Quello fu l’ultimo tentativo di razionalizzare la situazione nella quale eravamo capitati. Cominciai a vivere come un automa – a volte dando un piccolo colpo di acceleratore, quel tanto che bastava per colmare il poco spazio che si liberava davanti a me –, mentre lungo la strada si era formata una vera e propria comunità. La gente cercava di darsi una mano come poteva, quando non era impegnata a inveire contro la coda. In genere per le emergenze partiva una sorta di rapidissimo passaparola tra le macchine, favorito dal fatto che già si trovassero in una posizione ottimale per il tam-tam, incatenate l’una all’altra com’erano. Erano molto impegnati fisioterapisti e osteopati (la guida protratta aveva procurato agli abitanti della coda una sfilza di acciacchi posturali, colpi della strega e via dicendo) e, purtroppo, cardiologi (vista la situazione, gli attacchi di cuore si sprecavano). Qualcuno – forse un sociologo col pallino della matematica – tentò di rasserenare la coda diffondendo alcune stime realizzate con significative approssimazioni e arrotondamenti (nessuno conoscendo esattamente la densità del traffico e l’estensione del guaio): sommando il cibo contenuto nella totalità delle borse frigo delle famiglie rimaste imbottigliate, il livello del benessere si sarebbe mantenuto decente ancora per molto tempo.

I ragazzini giocavano per bande, spesso sul limitare della strada, ogni tanto avvicinandosi pericolosamente ai guard-rail. Una volta due o tre di loro – più per il gusto di commettere una bravata che per la reale volontà di chiedere aiuto – si fecero largo tra la vegetazione irta del basso Lazio, tra campi di grano e allevamenti bovini, fino alle prime fattorie che costeggiavano la Pontina.

“Siete quelli della coda?” gli domandarono da laggiù, quasi che la strada e la campagna circostante ormai corressero su piani paralleli non più comunicanti.

Ai ragazzini non venne dato neppure il tempo di rispondere, perché dalle finestre delle case partì subito una fitta sassaiola per ricacciarli da dove erano venuti. Tutta quella ferocia era assurda, a maggior ragione se confrontata con lo sguardo bonario delle mucche che assistevano alla scena indifferenti, con le bocche affondate nelle mangiatoie.

Una sera non troppo afosa accostai la macchina e decisi di fare una passeggiata per sgranchirmi un po’ le gambe. Sarei voluto tornare indietro dopo poco, i miei intenti non erano avventurosi come quelli di chi abbandonava l’auto per tentare di scoprire la verità (e chissà se ce ne sarebbe stata davvero una), ma camminando restai affascinato da come cambiavano gli usi e costumi della gente. In realtà la coda era costituita da regioni diverse, il gruppo di riferimento di ciascuno non si estendeva che per un paio di chilometri, e dopo partivano altre facce e altre storie.

Quanto durò quell’ingorgo epocale e mostruoso? Un giorno qualcuno mi bussò al finestrino. Ero troppo stanco e spossato per camminare da solo, quindi mi aiutarono a scendere e mi accompagnarono fino alla spiaggia.

“Dov’è mia moglie?” ebbi la prontezza di chiedere.

“Non c’è, signore.”

Non mi sentivo più le gambe, e in generale mi pareva di essermi incurvato.

Chiesi: “Ce l’abbiamo fatta, è finita la coda?”

Annuirono, cercando di risultare rassicuranti. Mi sorrisero proprio come si fa con i vecchi. Restai lì in piedi sulla sabbia, cercando di osservare la scena. Ed ebbi improvvisamente freddo, mi accorsi che quello era un mare d’inverno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA