La vita, la morte, il sesso, il Padreterno: arriva "N-capace", il film-rivelazione di Eleonora Danco

La vita, la morte, il sesso, il Padreterno: arriva "N-capace", il film-rivelazione di Eleonora Danco
di Fabio Ferzetti
3 Minuti di Lettura
Martedì 10 Marzo 2015, 19:09 - Ultimo aggiornamento: 19:10
I suoi spettacoli teatrali, sempre molto estremi, si chiamano “Ragazze al muro”, “Me vojo sarva’”, “Ero Purissima” (dove “ero” naturalmente sta anche per eroina), ”Intrattenimento Violento”. I temi su cui batte e ribatte sono il corpo, il piacere, il dolore, la solitudine, la famiglia, quel grumo di occasioni mancate e eventi incancellabili che chiamiamo memoria. E il personaggio biancovestito che si aggira nel suo primo film come un fantasma - lei stessa naturalmente - si chiama Anima in Pena.



Infanzia

Però Eleonora Danco non parla solo di sé, della sua infanzia o del rapporto con i genitori, ma tende ai personaggi che incrocia tutto quel bagaglio di emozioni sepolte come se fosse uno specchio. E loro ci si tuffano dentro, aprendosi e rivelando cose inaudite, con un misto di candore e strafottenza che diverte, commuove e a tratti evoca addirittura Pasolini.



Moretti e Buñuel

Anche perché “N-capace”, dal 19 al Nuovo Sacher (pare che Nanni Moretti sia rimasto folgorato) e in altre sale in Italia, è tutto girato fra Roma e Terracina. Alternando le apparizioni surreali dell’autrice e di suo padre, tormentato da domande indiscrete, a una serie di incontri con vecchi e adolescenti che parlano di tutto. Di Dio, di cibo, della morte, della loro prima volta, dei costumi sessuali dei loro coetanei, del papà che se n’è andato con un’altra o delle botte che prendevano in gioventù dal marito.



Giotto e De Chirico

Con una semplicità, un’immediatezza e insieme una profondità che lasciano stupiti e commossi. Come succede solo quando un film scompiglia tutti i generi per avventurarsi su un terreno nuovo che mescola allegramente autobiografia, inchiesta sul territorio, psicanalisi selvaggia. Con immagini lievi e ricercate, «fra Giotto e De Chirico», dice la Danco. E se i critici evocano Rezza, Moretti o Ciprì e Maresco, lei dice «piuttosto Buñuel, la sua autobiografia ancor prima dei suoi film».



Papà e la badante

«Ho iniziato dieci anni fa, subito dopo la morte di mia madre, riprendendo mio padre e la sua badante romena», ricorda. «Ce la faranno questi due ad abituarsi uno all’altra? Come faranno a vivere insieme?». Le prime scene colpiscono Angelo Barbagallo, storico produttore di Nanni Moretti, che la incita a proseguire e la sostiene. Poi arrivano la Rai, una lunga preparazione («Sul set mi sembrava di volare»), due diversi montaggi perché un film così si “scrive” in moviola, le bellissime musiche elettroniche del tedesco Markus Acher, il successo al Festival di Torino. E pensare che all’inizio l’autrice era terrorizzata.



Mitologie

«Prima di iniziare - ricorda - incontro il pittore Enzo Cucchi, mio amico. Gli dico: come faccio, non so niente di cinema. E lui: Meglio! Così mi sono buttata». N-capace porta i segni di questa passione pittorica. Nulla è mai “al naturale”. Vecchi e ragazzi abitano luoghi insieme familiari e mitologici. Alberi, campagne, spiagge, boschetti. «Sono cresciuta al mare. Il Circeo era la prima cosa che vedevo nell’infanzia. Il mare lo sentivo anche dalla mia stanza. La libertà di quegli anni mi è rimasta dentro, fisicamente».



Le due età

Ma perché solo anziani o adolescenti? «Gli adulti non hanno molto da dire, sono sommersi dallo stress, non ce la fanno. A me interessava la gente che galleggia, che coniuga angoscia e vitalità. Mi piace il senso di attesa di quelle età. L’attesa della fine e quella dell’inizio. Da qui nasce il turbine del film, la sua energia. Cercavo una tensione che non passa attraverso il racconto ma la visione. Li faccio partire da un trauma, un conflitto, trasformandolo in una risorsa. Se non lavori sul contesto sociale ma sull’intimità, alla fine si aprono. Mi dicevano cose incredibili! Ma eravamo alla pari. Gli strappavo cose pazzesche, ma le strappavo anche a me».



Sega a scuola

E a suo padre, che nel film subisce le domande più imbarazzanti. Anche se poi la Danco magari “stacca” sul fantastico balletto della badante romena in tuta da astronauta. «Fare questo film è stato come far sega a scuola. Sul set avevo 16 anni. È questo che dovevano sentire i miei personaggi». Ed è questo che dà a un film così personale una dimensione così universale.
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