Hollywood a Jeddah per la cerimonia di chiusura del Red Sea Film Festival

Vincitore del festival è “In Flames”, un film horror del regista pakistano-canadese Zarrar Khan

Hollywood a Jeddah per la cerimonia di chiusura del Red Sea Film Festival
di Rossella Fabiani
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Martedì 12 Dicembre 2023, 13:34 - Ultimo aggiornamento: 13:35

La terza edizione del Red Sea International Film Festival si è conclusa a Jeddah in Arabia Saudita proclamando vincitore assoluto “In Flames”, un film horror del regista pakistano-canadese Zarrar Khan, al suo primo lungometraggio che si è così aggiudicato lo Yusr d’oro. Seguendo le sorti di una famiglia di Karachi all’indomani della morte del nonno, che avvia una lotta per i diritti di proprietà a causa delle leggi patriarcali sull’eredità del paese, la figlia più giovane Mariam inizia a vivere incubi che sanguinano nella realtà. 

La cermonia di chiusura

Alla cerimonia di chiusura hanno partecipato anche Nicolas Cage – che ha ricevuto il premio Red Sea Honoree – Jason Statham, Halle Berry, Gwyneth Paltrow, Adrien Brody, Dhafer L’Abidine, Henry Golding, Andrew Garfield, Yousra, Kaouther Ben Hania, Alia Bhatt, Mahira Khan, Saswan Badr e Baloji.

La giuria del festival, presieduta da Buz Luhrmann, ha premiato opere di grande attualità e slancio politico. “Dear Jassi” di Tarsem Singh, che si è aggiudicato lo Yusr d’argento è un bruciante atto d’accusa al sistema delle caste indiano.  

Ma a fare incetta di premi – quattro in totale – sono stati film che hanno portato sullo schermo i temi più caldi dell’attualità dei Paesi del Medio oriente: il palestinese “The Teacher” si è aggiudicato addirittura due premi – quello per il miglior attore protagonista e quello speciale della giuria – il giordano “Inshallah a Boy” ha vinto il premio per la migliore attrice e il tunisino “Four Daughters” è stato premiato come migliore documentario.

Il pubblico, raccolto sui tre livelli della grande sala del Ritz Carlton, ha condiviso con lunghi applausi le scelte della giuria.

Applausi calorosi soprattutto quando, per due volte, è stata chiamata sul palco la regista palestinese di “The Teacher”, Farah Nabulsi, che ha ritirato anche il premio assegnato all’attore Saleh Bakri che era bloccato a Ramallah, in Cisgiordania. E la regista palestinese, che vive da anni a Londra, ha lanciato dal palco un appello “perché finisca il massacro”, scatenando altri applausi.

L’attualità è entrata così nel Red Sea International Film Festival. Perché l’originalità di questo festival è quella di essere un interprete attento di tutte le mutazioni in atto in Paesi che stanno mettendo in discussione gli stereotipi in cui sono stati a lungo incapsulati. A partire dalla stessa Arabia Saudita dove, per 35 anni, dal 1982 fino al 2017, le sale cinematografiche erano rimaste chiuse perché definite “luoghi che favoriscono la promiscuità e diffondono falsi valori” e dove, negli ultimi cinque anni, si è rimessa in moto un’industria cinematografica che ha già creato due grandi centri di produzione dove sono stati realizzati 250 tra film e serie tv – per un giro d’affari che marcia spedito verso il traguardo del miliardo di dollari – e dove si è affermato oltre ogni ottimistica previsione, un festival come quello di Jeddah che, in sole tre edizioni, è stato capace di conquistarsi un posto di tutto rispetto nel circuito mondiale del cinema.

Jomana Al-Rashid, presidente della Red Sea Film Foundation, intervenendo alla serata conclusiva ha detto: «Negli ultimi 8 giorni abbiamo dato il benvenuto al mondo a Jeddah e celebrato insieme questa comunità cinematografica globale, con l’obiettivo di unire culture e creare nuovi legami. Lo abbiamo fatto con oltre 125 film provenienti da Arabia Saudita, Giordania, Egitto, Marocco, Ruanda, Armenia, Malesia, Pakistan, Nuova Zelanda, Francia, India, Tailandia e molti altri, oltre a un programma industriale nel Souk con 348 progetti presentati e 44 lavori in corso da più di 26 paesi. Siamo orgogliosi di avere creato un luogo di incontro per idee, affari e ispirazione che ci accompagnerà nel nuovo anno».

Un successo dimostrato anche dalla partecipazione di star affermate. Ma anche i nuovi cineasti dei Paesi mediorientali si sono imposti all’attenzione generale. Il caso dei tre film del filone che si porrebbe definire di “cinema impegnato” è esemplare perché ha acceso i riflettori su registi e attori di una generazione attenta a raccontare e interpretare i problemi e la voglia di cambiamento in atto. “Inshallah a Boy” racconta la storia di una vedova che deve inventare una gravidanza che potrebbe darle un figlio maschio – da qui il titolo “Se Dio vuole, un bambino” – per evitare che sia il fratello del marito defunto ad assicurarsi tutta l’eredità secondo la legge che privilegia gli eredi maschi.

Se “Inshallah a Boy’ è una denuncia delle diseguaglianze di genere, “Four Daughters” e “The Teacher” portano sullo schermo storie ancora più intrecciate con l’attualità politica. Perché due delle quattro figlie – le “Four Daughters” – di una donna tunisina, nel 2016, sono entrate nelle fila dei terroristi dell’Isis e sono realmente ancora in carcere in Libia. E il professore (“The Teacher”) protagonista del film palestinese si trova al centro di un complesso scambio tra un soldato israeliano catturato da una milizia e mille prigionieri palestinesi che si concluderà positivamente, ma che aprirà nuove ferite in un confronto che sembra infinito.

Un film, questo, realizzato ben prima del 7 ottobre ma che ha riferimenti evidenti con quanto sta accadendo adesso. Ma, al di là dei premi, Jomana Al-Rashid, ha sottolineato che la manifestrazione di Jeddah aveva tre obiettivi che ha riassunto con tre B: “to bridge, to bind and to buid”, realizzare ponti, progettare e costruire. «In fatto di costruire ponti – ha detto Jomana Al-Rashid – questo festival ha già dimostrato che il linguaggio non è una barriera, ma un legame e che le culture possono essere anche diverse ma, alla fine, convergere».

Il festival quest’anno ha accolto quasi 6mila ospiti accreditati e ha venduto più di 40mila biglietti tra tutte le proiezioni e le In Conversations. Soddisfatto Mohammed Al-Turki, Ceo della Red Sea Film Foundation: «Chiudiamo questa edizione del festival con la première MENA del film biografico “Ferrari” di Michael Mann, sostenuto dal Red Sea International Film Fund, e onorando uno dei grandi di Hollywood, Nicolas Cage, insieme a tutti i vincitori dei nostri Yusr Awards».

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