Regionali, astenuto il 20% di elettori Pd. La Lega triplica i voti. Tiene il M5S

Matteo Renzi
di Diodato Pirone
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Martedì 2 Giugno 2015, 13:01 - Ultimo aggiornamento: 14:52

Inutile girarci intorno, questo giro elettorale ha un solo vincitore: la Lega di Matteo Salvini. Basta sommare i voti ottenuti direttamente dalle liste del Carroccio con quelle collegate, a partire dallo strepitoso 23% ottenuto in Veneto dalla Lista Zaia, per avere un quadro chiarissimo: alle europee di un anno fa nelle sette Regioni che sono andate al voto domenica il leghismo viaggiava su quota 498.000 voti, pari al 4,9% del totale, ma il 31 maggio il bottino elettorale della Lega è quasi triplicato a quota 1.214.000 voti.

Salvini ha chiuso al terzo posto, sfiorando quota 15% e facendo sentire il fiato sul collo a un movimento grillino che ha tenuto (e si è piazzato al primo posto in alcune Regioni sfruttando la dispersione delle mille liste di centrosinistra e centrodestra) ma che ha perso circa il 5% dei consensi totali. «Se si considera che nel campione elettorale non c'era la Lombardia si può ipotizzare che la Lega oggi sia il secondo partito italiano», assicura Enzo Risso, direttore dell'SWG, autore della prima analisi dei flussi elettorali delle Regionali 2015.

Assegnato alla Lega ciò che è della Lega (ma ci ritorneremo con altri dettagli), va segnalato un secondo vincente: l'astensionismo. Le Regioni piacciono sempre meno agli italiani e domenica scorsa l'esercito di chi preferisce disertare le urne in assenza di competizioni nazionali ha toccato un nuovo picco salendo dal 42% del 2104 al 48% circa (la percentuale precisa richiede calcoli snervanti poiché il ministero dell'Interno ha seguito la diffusione dei dati di sole 4 regioni).

VORAGINE NON VOTO

Il buco nero dell'astensionismo ha calamitato elettori di tutti i partiti, ma la cifra che fa più impressione è quella del Pd: secondo l'SWG nelle sette regioni al voto ben il 18% degli elettori raccolti da Renzi alle europee dello scorso anno non sono tornati alle urne. Nel generale arretramento dei votanti, questa virata gigantesca (quasi 750 mila voti) verso il mare o il proprio salotto spiega in buona parte la caduta dei consensi Pd. «In termini assoluti - spiega Risso - i voti dei democratici sono passati da circa 4,2 milioni a 2,5 milioni, ovvero dal 41,5 al 30,6%, considerando che nel 30% sommiamo ai voti di lista veri e propri quelli delle principali liste collegate e quelli ottenuti dai candidati presidenti».

Il virus astensionista ha colpito pesantemente anche l'elettorato di Forza Italia (anche qui il 18% dei berlusconiani delle europee si è astenuto) e dei 5Stelle (un grillino su sei è rimasto a casa pari al 15%) e si è diffuso anche fra i leghisti (8%) che però sono stati capaci - in particolare in Veneto - di provocare un importante flusso contrario.

REGIONE PER REGIONE

E passando all'analisi dei flussi per Regione si scopre che proprio in Veneto la Lega ha messo a segno un'operazione a tenaglia molto sofisticata. «Da una parte la lista del Carroccio ha registrato un afflusso diretto del 7% di voti da parte di astensionisti - sottolinea Risso - dall'altra la lista Zaia, collegata, ha saputo attirare consensi in un'area più vasta e si è presa il 7,7% da ex elettori Forza Italia ma anche l'8,8% da persone che l'anno scorso avevano scelto Pd e Grillo. Insomma la Lega ha pescato nel gran calderone dell'astensione e la Lista Zaia in quella parte della società veneta interessata al governo».

Un trionfo. Realizzato pure in presenza di una scissione come quella di Flavio Tosi, il sindaco di Verona.

Dall'altra parte della barricata, il Pd veneto ha segnato un arretramento biblico passando dagli 899.000 voti delle europee ai 368.000 di domenica (Pd 299.000 + 69.000 Lista Moretti). «E' presto per dire se la parte più dinamica del Nord Est abbia lasciato le sponde renziane - sospira Risso -. E' un fatto però che le candidature più vicine a Renzi, come quella della Moretti in Veneto e della Paita in Liguria, non hanno funzionato. Le classi dirigenti non si inventano in laboratorio».

La Liguria fornisce ulteriori conferme a questa chiave di lettura. Qui il Pd è passato dal 41,7 delle europee al 29 circa. Il 12,5% dei voti in uscita si è così distribuito: il 6% all'astensione; il 4% a Pastorino (il candidato a sinistra del Pd); l'1,4% a Grillo e l'1,3% alla Lega. Anche a Genova Lega in gran spolvero con lievitazione dal 5,6% delle europee addirittura a oltre quota 20%. La Lega ligure ha raccolto un maxi-flusso di ex-astensionisti pari al 6,3%. Sono stati costoro a determinare la vittoria di Toti. La Liguria offre uno sguardo interessante sui 5Stelle che sembrano vivacchiare.

Sono scesi dal 26 delle europee al 22,3% - rispettabilissimo, s'intende - incassando l'1,4% dal Pd e il 4,4% da ex astensionisti ma al tempo stesso cedendo all'astensione il 4,3% dei voti raccolti alle europee, il 2,9% alle liste di sinistra collegate a Pastorino e il 2,3% alla Lega Nord.

A proposito di classi dirigenti locali va segnalato un dato importante per elezioni amministrative: il Pd ha perso a Genova (la Paita non era del capoluogo) ma ha stravinto a Salerno con un plebiscito per De Luca. In Campania la dinamica dei flussi ruota intorno alla figura del candidato presidente del Pd. I democrat hanno perso circa 10 punti rispetto alle europee, la metà dei quali se ne sono andati verso i 5Stelle e il 3,6% verso l'astensione. Ma proprio i 5Stelle non hanno approfittato delle polemiche esplose intorno a De Luca e sono scesi dal 23% del 2014 al 17,3% con una ciclopica fuga (pari al 12%) verso l'astensione appena attutita dal +4,6% di voti provenienti dal Pd.