Roma, dall'Olimpica all'Auditorium: tutte le opere che hanno cambiato il volto della Capitale

Con Expo 2030 la Città Eterna ha un'altra occasione per modernizzarsi. Come fu con le Olimpiadi del '60 e il Giubileo del 2000

L'auditorium parco della musica
di Ernesto Menicucci
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Sabato 17 Giugno 2023, 08:35 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 07:06

I piedi nel passato, lo sguardo nel futuro. La storia di Roma, quella della sua espansione ed evoluzione, quella della sua modernizzazione, è indissolubilmente legata ai Grandi eventi che vi si celebrano. Storici, sportivi, religiosi. È, poi, la storia di tutte le Capitali europee, specie in epoca recente. In molti, ancora oggi, raccontano di una Barcellona pre-Olimpiadi del 1992 (quelle del trionfo del Settebello azzurro) e di una dopo quella kermesse. Come capitato persino a Londra, città che in teoria non avrebbe bisogno di Grandi eventi per modernizzarsi, con gli interventi nell’East End, quartiere in abbandono rivitalizzato dai Giochi del 2012.

Le tappe della modernizzazione

Così, anche l’evoluzione di Roma passa attraverso alcune date (e appuntamenti) clou, non solo – ovviamente – di natura sportiva. Tutti, infatti, ricordano e citano le Olimpiadi del ‘60, le ultime a dimensione umana si è detto, quelle di Abebe Bikila scalzo ai piedi del Colosseo, dei fratelli D’Inzeo, di Livio Berruti e Nino Benvenuti, quelle dello stadio Olimpico ampliato e modernizzato (anche con la realizzazione dello Stadio del nuoto), del Flaminio, del palazzo dello Sport. Ma anche della tangenziale, completata con quella che oggi chiamiamo la via Olimpica, il collegamento tra la Batteria Nomentana e la zona dello stadio. E la “rigenerazione urbanistica”, oggi si direbbe così, della zona al di là di ponte Milvio, lungo la via Flaminia, sotto ai Parioli: il villaggio Olimpico, appunto, che oggi è il nome di un quartiere e prima non era niente.

Lì vennero realizzati gli alloggi per gli atleti, con quelle vie che prendono il nome delle varie delegazioni internazionali (alcune, via Jugoslavia o via Unione Sovietica, parlano di mondi che non ci sono più...). E la riqualificazione dell’Eur, quartiere nato per l’Esposizione universale del ‘42 (ah, i Grandi eventi) voluta dal Fascismo e travolta dagli orrori della Guerra: quasi venti anni dopo, ecco appunto il Palasport, per molti romani ancora il Palaeur di tanti “sogni di rock&roll” e del mitico scudetto di basket del Bancoroma di Valerio Bianchini e Larry Wright (nel 1983, in abbinata con quello di Falcao, Liedholm e Bruno Conti), il laghetto ai suoi piedi, il Velodromo oggi in abbandono. 

Le eredità dei grandi eventi a Roma


Si parla tanto di legacy, di lascito, di quello che i Grandi eventi lasciano dietro di sé: quelle Olimpiadi, in pieno boom economico dell’Italia, un Paese che usciva dalle lacerazioni della Seconda Guerra Mondiale, lasciarono alla città l’aeroporto di Fiumicino (aperto solo per i charter inizialmente e poi, solo nel ‘61 ad Olimpiadi finite anche ai voli di linea), la metro B aperta nel ‘55 (la linea A arriverà dopo, nel 1980). 
Ed è il motivo per cui, in fondo, Roma ci ha riprovato spesso con le Olimpiadi. La volta che ci andò più vicina fu nel ‘97, per l’assegnazione dei Giochi del 2004. Vinse Atene, con un’ultima mano di poker che lascia ancora l’amaro in bocca. Come ha ricordato sul Messaggero Raffaele Ranucci, all’epoca presidente del Comitato promotore, la Capitale «andò a dormire con sei voti di vantaggio e si sveglio’ con sei voti sotto». Non è mai stato chiarito, davvero, cosa successe in quella notte. E poi ci fu il “gran rifiuto” di Mario Monti, per le Olimpiadi del 2020 e infine la decisione di non correre neppure della sindaca grillina Virginia Raggi, appena insediata al Campidoglio.
Ma di Grandi eventi, e non solo di Olimpiadi ovviamente, ha sempre vissuto la Capitale. Il primo, forse, fu proprio l’essere dichiarata Capitale del neo Regno d’Italia, 1870, otto anni prima della nascita del Messaggero. Roma si allargò, vennero realizzate opere che cambiarono il volto dell’Urbe (tra queste la realizzazione dei muraglioni del Tevere contro gli allagamenti iniziata appunto nel 1870 e la realizzazione, sventrando il Colle capitolino, del Vittoriano, dopo la morte di Vittorio Emanuele II nel 1886), vennero demolite case, chiese, palazzi per far posto ai nuovi ministeri dello Stato unitario. E poi l’avvento del Fascismo, con le sue rivoluzioni anche urbanistiche: il complesso del Foro Italico, via dei Fori Imperiali, via della Conciliazione dopo la firma dei Patti lateranensi con il Vaticano. Grandi eventi (qualcuno anche drammatico) anche questi ma della storia. In epoca moderna, per gli ultimi interventi radicali sulla città bisogna arrivare al Giubileo del 2000, sotto la giunta capitolina guidata dall’allora sindaco Francesco Rutelli. L’Auditorium di Renzo Piano che il mondo ci invidia e che completò la riqualificazione di un quartiere e che adesso, dopo anni di abbandono (il Flaminio ridotto ad un rudere, il Palazzetto chiuso per anni e soltanto ora ristrutturato) necessiterebbe di un’altra importante mano di vernice. Il sottopasso del lungotevere davanti a via della Conciliazione che ha – almeno in parte – fluidificato il traffico sempre infernale. La Galleria Giovanni XXIII, il passante a Nord Ovest che ha cambiato il volto di un quadrante di città, con i lavori iniziati solo nel 2001 per le resistenze degli ambientalisti ma che doveva partire come progetto esecutivo nel 1999. La ferrovia Viterbo-San Pietro e le gallerie sul Gra, sotto l’Appia Antica e sotto al Gianicolo, la terza corsia del Gra e della Roma-Fiumicino. 
Sono passati, quasi venticinque anni, un quarto di secolo. E ora l’occasione storica si ripresenta: Giubileo 2025, candidatura per l’Expo 2030 che sarebbe un volano economico di cui ha già beneficiato Milano, l’altro appuntamento religioso del bimillenario di Cristo, di fatto un altro Giubileo a stretta distanza dall’altro. Un “triplete” che Roma dovrebbe cogliere, per (ri)lanciarsi definitivamente nel futuro.
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