Il Messaggero compie 145 anni, dall'8 dicembre 1878 la storia si fa in via del Tritone

Dalla sua nascita alla rivoluzione grafica, il tutto nella sua sede secolare a largo Tritone

Il Messaggero compie 145 anni, dalla nascita del quotidiano alla rivoluzione grafica nel Palazzo in via del Tritone
7 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Giugno 2023, 18:16 - Ultimo aggiornamento: 18:22

La Storia è in via del Tritone, impressa nelle pagine e nei codici del sito del quotidiano di RomaIl Messaggero. Una narrazione della Realtà che avviene da 145 anni, quanti sono gli anni di vita della testata giornalistica. Un lavoro costante e complesso, tra carta, web, digitale e social. Dalla sua nascita alla rivoluzione grafica, il tutto nella sua sede secolare: l'elegante palazzo con i profili curvi e l'insegna iconica a sfiorare il cielo, a pochi passi da piazza Barberini, a largo del Tritone.

La storia del Messaggero

Tutto cominicia l'8 dicembre del 1878, a Roma. In quell'anno Fedele Albanese e Luigi Cesana (che lo diresse e ne fu proprietario fino al 1911, ndr.) Tra il 16 e il 19 dicembre vengono stampati quattro numeri di prova. Escono come inserti de Il Fanfulla, quotidiano che dal 1871 si stampa a Roma e di cui uno dei proprietari è il padre di Cesana.

Le pubblicazioni regolari iniziano il 1º gennaio 1879 con una tiratura di 20 000 copie. Il prezzo è di 5 centesimi, com'è d'uso all'epoca per i giornali di quattro pagine. La testata porta il nome di «Messaggiero» (dal 5 febbraio abbandona la "i"). Il primo direttore è Fedele Albanese, cui subentra in aprile il giornalista e fumettista Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin).

La chiave del successo del quotidiano di Roma fu quella di catturare il pubblico attraverso un linguaggio semplice: la cronaca, a cui fu riservato ampio spazio, caratterizzò l'intera esistenza del giornale. Grazie alla notorietà acquisita nei primi due anni di vita, Il Messaggero raggiunge una tiratura di 35 000 copie. Nel 1880 il cofondatore Luigi Cesana assume personalmente la guida del quotidiano.

Forte dell'alto numero di copie vendute, nel 1888 Cesana rinnova interamente la produzione del giornale, adottando, primo in Italia, la stereotipia. Viene potenziata la distribuzione: Il Messaggero esce in due edizioni. Nel 1890 il quotidiano romano vende 45mila 000 copie: è il secondo per diffusione e per importanza di tutta l'Italia centrale dopo La Tribuna. La linea politica verso Giovanni Giolitti è inizialmente di sostegno, poi di contrasto.

Moderatamente progressista, mostrò poi riserve verso la politica giolittiana di apertura a socialisti e cattolici. Dal 1911 fece parte del cartello editoriale di L. Della Torre e G. Pontremoli, orientato in senso democratico e interventista. Di proprietà della famiglia Perrone dal 1917, sostenne il regime fascista fin nella Repubblica Sociale Italiana, motivo per cui fu costretto a sospendere le pubblicazioni nel 1944-46.

Nel dopoguerra tenne una linea centrista e si attestò tra i più diffusi quotidiani nazionali, mostrando dal 1968 una certa propensione per la sinistra, accentuatasi nei primi anni 1970. Ceduto dai Perrone all’editore milanese Rusconi (1973), ha fatto parte dal 1974 del gruppo Montedison, dal 1988 del gruppo Ferruzzi e nel 1996 è entrato a far parte del Gruppo Caltagirone editore.

Il giornale, che nei primi anni 1990 aveva registrato un periodo di forte passivo, sotto la direzione di P. Calabrese (1996-99) vide risalire le vendite riconfermandosi il quotidiano più diffuso nell’Italia centrale con edizioni nel Lazio, in Abruzzo, in Umbria e nelle Marche. Si avvicendarono poi alla direzione P. Graldi (1999-2002), P. Gambescia (2002-06), R. Napoletano (2006-11), M.Orfeo (2011-12), V. Cusenza (2012-20), M. Martinelli (2020-attuale).

 


La Rivoluzione grafica

Alla fine degli anni Sessanta i giornali erano tutti uguali: colate di piombo, caratteri scelti a caso, «piedini» riempitivi per articoli troppo corti. Il Messaggero voleva una dua identità e serviva un uomo per attuare la sua Rivoluzione. A Roma l’editore (e direttore) di allora, Alessandro Perrone, notò Pasquale Prunas e gli affidò un incarico eccezionale: ideare una riforma grafica del Messaggero che incarnasse anche un nuovo modo di comunicare. Prunas aveva diretto la rivista Sud, che aveva lanciato Anna Maria Ortese, e girato documentari come Mussolini, prodotto da Roberto Rossellini. «Che bel giornale Il Messaggero! Si guardano i testi e si leggono le foto», disse un raggiante Ennio Flaiano riferendosi proprio all’amico Pasquale Prunas, iniziatore di una rivoluzione grafica che avrebbe influenzato tutti gli altri quotidiani. 

Prunas portò con sé Piergiorgio Maoloni, che era un genio assoluto. I giornalisti videro piombare in redazione «quegli extraterrestri», che cominciarono a stravolgere tutte le regole consolidate. «Dissero ai giornalisti, una volta terminato il progetto grafico: se il pezzo è lungo, tagliatelo». Un affronto inaudito. Per rimediare alla ridondanza, si decise di optare per un unico font, il Times, in sole tre varianti.

Al tempo della composizione «a caldo», gli articoli erano di piombo fuso e una singola pagina poteva pesare anche ottanta chili.

Poi, arrivarono le pagine dedicate allo sbarco sulla Luna furono memorabili, e costituirono un grande choc, per l’epoca; una di queste (quella del 21 luglio 1969) ha un titolo enorme, a tutta pagina: è esposta al Moma di New York. «Il lettering - scrive Chiara Athor Brolli in un saggio di prossima pubblicazione, Piergiorgio Maoloni - Quotidiani - fu disegnato a mano, proprio da Piergiorgio, non esistendo caratteri mobili di quelle proporzioni. Questo successo fece sì che la tensione si ammorbidisse notevolmente, giornalisti e tipografi prima sotto shock dovettero ricredersi di fronte all’approvazione del pubblico».

In era analogica, fare un giornale era un’attività squisitamente artigianale. La svolta fu apprezzata da tutti gli altri quotidiani, che cominciarono a copiare le dee del dream team di via del Tritone. Il successo decretò anche l’ascesa di un vero e proprio «potere grafico» in redazione. Nessuno si lamentava più delle gabbie per l’impaginazione o dei famigerati “allineamenti”. La fantasia dettava legge e, spesso, le pagine erano impreziosite dai lavori del grande illustratore Alfonso Artioli.

In seguito, l’uso delle foto diventò, rapidamente, centrale: capitava che in redazione arrivasse Laura Antonelli per un’intervista, e che venisse immortalata sul posto dall’obiettivo di maestri come Mario Dondero; Rino Barillari, «Paparazzi King» degli anni Sessanta, era il cuore pulsante del servizio fotografico. La storia successiva portò Il Messaggero a ulteriori riforme, alla ricerca di un segno sempre più moderno.

L’ultimo punto di svolta è il 2012, quando il Messaggero dell’era Caltagirone affronta una nuova, radicale, riforma grafica. Il numero di colonne, che dalle originali nove era già diminuito, si riduce a sei; ma ancora una volta sono i font, i caratteri, il pilastro del cambiamento; e l’uso, sempre più curato, delle foto. Il compito di ripensare completamente la veste del giornale viene affidato a Sergio Juan, specialista del settore, che porta a Roma la grande tradizione iberica in questo campo. «Quando si cominciò a lavorare a questo progetto - racconta da Barcellona - alla fine del 2011, sono stati studiati molti aspetti. Il cambiamento riguardava i contenuti, il modo di raccontare le notizie, l’organizzazione editoriale e la produzione giornaliera, e di conseguenza il suo aspetto visivo».

L’idea, precisa, era di «concepire un giornale fatto per lettori tradizionali, però avendo sempre in mente un nuovo tipo di lettore, più giovane». Di qui, la scelta di ridisegnare la parola «Messaggero» ma anche la «M» con un tratto subito individuabile, vero simbolo di un brand dalla storia straordinaria. Il restyling ha fruttato un premio, alla trentaquattresima edizione di Best of News Design. Così, in tanti anni di storia, il Messaggero è riuscito, nelle sue diverse evoluzioni - fino all’arrivo delle ultime generazioni di grafici, a cominciare da Mauro Anelli - a dimostrare di essere capace di cambiare, riuscendo però, sempre, a mantenere la sua identità. 

 

Il Palazzo «al civico 152»

I palazzi che dominano largo del Tritone, aperto in occasione della costruzione del Traforo Umberto I, furono realizzati nel primo decennio del Novecento in stile liberty dall’architetto Arturo Pazzi. Al civico 152 è situato il «Palazzo del Messaggero» costruito tra il 1910 ed il 1915 come albergo, il Select: la facciata gioca tutta la sua scenografia nell’alternarsi di balconcini, timpani alle finestre, pilastri di vario ordine, decorazioni a stucco sotto l’ampio cornicione fino all’attico soprastante, ricco di colonne, pilastri e due serliane con varie elaborazioni architettoniche. Il palazzo fu acquistato dai fratelli Perrone nel 1920, allora proprietari de «Il Messaggero», che ne fecero la sede definitiva del quotidiano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA