La sfida dell'enologo made in Italy:
vendere il vino agli arabi

La sfida dell'enologo made in Italy: vendere il vino agli arabi
di Sandro Vacchi
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Giovedì 12 Dicembre 2013, 18:53 - Ultimo aggiornamento: 18:54
S' messo in testa un'idea che sembra folle: vendere vino agli arabi. Scusi, vuole per caso fallire in fretta? Alfeo Martini risponde sorridendo: «Tutt'altro, proprio adesso che andiamo a gonfie vele e vendiamo all'estero l'86 per cento della produzione. Si tratta di fare le cose in un certo modo e di andare incontro ai gusti del consumatore. In fondo, il cliente non ha sempre ragione?».



Così, la sua sfida per il 2014 sarà quella di convincere i musulmani a pasteggiare a vino. Attenzione: vino, non alcool, e il segreto è proprio quello di eliminare il residuo alcolico da Chardonny e Barbera. E il sapore?
«Un po' più dolce di quello a cui siamo abituati noi, ma in Medio Oriente lo preferiscono così, con un gusto meno pronunciato, più aromatico». Gli enologi – e lui fa parte della categoria – potranno dire che privo di alcool il vino non è più vino, ma le leggi di mercato sono altre. E se un arabo curioso volesse assaggiare il vino vero, potrà sempre farlo, visto che dalle sue parti esiste da sempre, semmai soltanto per gli stranieri. La birra analcolica, d'altronde, va per la maggiore. «Ci sono economie in crescita veloce che non possiamo certo trascurare se, per qualche motivo, richiedono determinati prodotti. Penso ai Paesi arabi, ma anche all'India, alla Cina, alla Corea, al Messico, che ha cento milioni di abitanti. Se ci fermassimo di fronte ai divieti di ciascuno, saremmo produttori di nicchia senza nessuna presenza all'estero, invece...».



Invece Mondodelvino è un gigante. L'ultimo anno ha venduto in tutto il mondo quasi sessanta milioni di bottiglie, per un fatturato di un'ottantina di milioni di euro. Nata una ventina di anni fa per iniziativa di questo enologo forlivese che proviene dal mondo cooperativo, l'azienda all'inizio si chiamava MGM, dalle iniziali dei tre soci Martini, Gabb e Mack: un italiano, un inglese e un tedesco, come nelle barzellette, solo che loro volevano fare sul serio. I due stranieri erano grossi importatori di vino italiano, e accettarono di entrare in quest'avventura che ancora li coinvolge. Cominciarono a produrre vino in una cantina in provincia di Cuneo, per poi, dieci anni più tardi, spingersi giù fino a Trapani, dove hanno fondato il Barone Montalto, un marchio che oggi dà sei milioni di bottiglie. L'azienda si è allargata poi con i Poderi dal Nespoli, nel Forlivese e, due anni fa, con la piemontese Cuvage ad Aqui Terme. Nelle quattro sedi i dipendenti sono più di duecento. Martini e i suoi soci hanno appena unito i marchi sotto l'unica sigla Mondodelvino.
«Per competere in modo più strutturato sui mercati internazionali», spiega l'amministratore unico. Il primo successo della “company” viene dal Canada, tanto per non smentire la sua vocazione internazionale. Ha infatti venduto da quelle parti quattro milioni di bottiglie di vino italiano, per un valore di sei milioni e mezzo di euro.



«Abbiamo conquistato il mercato canadese, molto esclusivo a causa dei rigidi monopoli statali per la distribuzione degli alcolici. Un mercato che vale sui 250 milioni di euro, con il prodotto italiano che cresce di circa il 5 per cento ogni anno». Tradotto: nei prossimi tre anni Mondodelvino conta di raddoppiare le vendite in Canada, raggiungendo gli otto milioni di bottiglie e un fatturato di quattordici milioni di euro. Ma è nel 2015 che il gruppo prevede di fare un vero boom. Entrerà infatti in vigore l'accordo di libero scambio fra Canada e Unione Europea, che dovrebbe comportare un aumento del 24 per cento dell'export di vino verso il Nordamerica. E i vini italiani che vanno per la maggiore, secondo questi professionisti dell'esportazione? «Il Pinot fra i bianchi, mentre i rossi più apprezzati sono il Sangiovese di Romagna e il Montepulciano d'Abruzzo».
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