Tabagismo, obiettivo fumo "zero". «La sfida è la riduzione del rischio»

Riccardo Polosa, fodatore del Coher dell'università di Catania: "Nessuno si prende carico dei tabagisti che non vogliono smettere. Vanno studiati percorsi di cessazione"

Tabagismo, obiettivo fumo "zero". «La sfida è la riduzione del rischio»
di Francesco Bisozzi
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Giovedì 15 Giugno 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 07:49

La buona notizia è che in Italia i fumatori sono in calo.

Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità – diffusi in occasione del World No Tobacco Day del 31 maggio, la Giornata mondiale contro il tabacco indetta dall’Oms – oggi fuma il 20,5% della popolazione, contro il 24,2% del 2022 e il 26,2% del 2021. Quella meno buona è che ci sono ancora milioni di persone che non vogliono o non riescono a smettere di fumare. «In Italia – spiega Riccardo Polosa, fondatore del Coehar, Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo dell’università di Catania – ancora oggi non abbiamo una politica sanitaria che si prenda carico di queste persone.

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La riduzione del rischio rappresenta la soluzione.

Paesi dall’approccio liberale, come la Svezia o l’Inghilterra, hanno scelto di aprirsi agli strumenti alternativi a rilascio di nicotina promuovendoli nei percorsi di cessazione per i fumatori incalliti. È tempo di seguire questi esempi virtuosi anche da noi». In Italia, sempre stando ai dati dell’Iss, solo il 3,7% della popolazione utilizza i prodotti a tabacco riscaldato e appena il 2,5% consuma le sigarette elettroniche.  Il Coehar vanta più di 130 pubblicazioni, firmate da oltre 100 ricercatori provenienti da tutto il mondo. «Il fumo di tabacco in Italia rappresenta ancora la principale causa prevenibile di sviluppo di patologie oncologiche. Il piano italiano di lotta al tabagismo si basa principalmente sulle linee di intervento proposte dalla legge Sirchia e dalle sue successive modifiche. Ma tanto ancora deve essere fatto», prosegue Riccardo Polosa.

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L’appuntamento

Fari puntati adesso sulla prossima Conferenza delle parti della convenzione quadro per il controllo del tabacco, in programma a Panama a novembre. «La conferenza, giunta alla decima edizione, rappresenta un’enorme opportunità per la salute pubblica. Auspichiamo che le organizzazioni internazionali tengano conto del ruolo che i prodotti privi di combustione possono avere per abbattere i tassi di fumo in tutto il mondo», prosegue il fondatore del Coehar. Che poi sottolinea: «L’idea dell’Oms è semplicemente quella di equiparare i prodotti tecnologici senza combustione per l’erogazione della nicotina alla sigaretta combusta, ma stiamo parlando di due cose completamente diverse soprattutto sotto il profilo tossicologico». Insomma, secondo gli esperti del centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo di Catania è necessario un cambio di approccio. La convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità sul controllo del tabacco, utile a elaborare a livello globale strategie di contrasto al fumo, è stata siglata da 192 Paesi nel 2004 ed è entrata in vigore l’anno successivo. In Italia è stata ratificata nel 2008.  Il numero dei fumatori nel mondo ha cominciato a diminuire a partire dal 2005, anno di entrata in vigore della convenzione, ma il calo è stato neutralizzato dall’aumento della popolazione mondiale. Gli sforzi messi in campo finora non hanno portato perciò a significativi miglioramenti nel contrasto al problema del fumo. Ecco perché gli esperti ragionano sul ruolo che la tecnologia può svolgere per i fumatori che non smettono. Così il direttore del Coehar, Giovanni Li Volti: «Sebbene la nicotina non sia totalmente priva di rischi è importante sottolineare che non è responsabile dei danni per la salute derivanti dal fumo di sigaretta».

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Le alternative

Negli ultimi anni sono state introdotte sul mercato alternative al fumo di sigaretta che non comportano combustione, come le e-cig e i prodotti basati sul riscaldamento del tabacco. L’arrivo di queste soluzioni ha alimentato un dibattito tra coloro che insistono sul principio di precauzione, sottolineando che le evidenze scientifiche sui nuovi prodotti sono ancora troppo poche per avere un quadro completo del loro profilo di rischio, e chi invece vede in questi strumenti un’importante novità per integrare le attuali politiche di prevenzione e controllo.

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