Il fotografo Ferdinando Mezzelani: «Ho perso una gamba in un incidente, ma mai l'ottimismo. Alleno corpo e mente»

«I primi giorni a casa sono stati un inferno, determinante accettare la situazione. Ora sono pronto a tornare in pista»

Ferdinando Mezzelani
di Valeria Arnaldi
4 Minuti di Lettura
Giovedì 8 Febbraio 2024, 07:05 - Ultimo aggiornamento: 08:23

Era una giornata calda il 10 luglio scorso, quando Ferdinando Mezzelani, fotografo dell’Italia alle Olimpiadi, 60 anni - sue le foto più note della Roma negli ultimi trent’anni - a Roma è stato vittima di un grave incidente (uno scontro in moto contro un bus) e, grazie alla prontezza del capitano Francesca Antonini, ortopedico, che si trovava sul posto, non ha perso la vita, ma ha dovuto comunque subire l’amputazione della gamba sinistra. Ricoverato all’ospedale San Camillo e poi al San Raffaele, dopo il primo intervento ne ha dovuto subire un altro a ottobre.

A metà dicembre ha lasciato l’ospedale con una protesi provvisoria.

Conosciamo incidenti e riprese di campioni, ma come è stato tornare a casa e riprendere la vita di tutti i giorni?

«Non semplice.

L’ospedale è una realtà accogliente, pensata per persone che, come te, hanno problemi e tutto è fatto su misura di ciò che ti serve. A casa, per quanto tu possa pensare di aver previsto ogni esigenza, non riesci mai a farlo. I primi giorni sono stati un inferno».

Quali, i problemi principali?

«Perfino la polvere. Una casa pulita non lo è mai come un ospedale. Poi ci sono i sanitari, che dovrebbero essere più alti e occorre tempo per fare i lavori. La mia, inoltre, è un’abitazione con scale, mio cognato Zeno ha fatto costruire un corrimano, di grande aiuto, specie all’inizio. Ora faccio le scale normalmente: è basilare, perché se non riesco a fare cose come questa, non posso pensare di tornare al mio lavoro».

Ha affrontato la situazione con grande ottimismo da subito.

«L’ottimismo è la chiave di tutto, la testa vince su qualsiasi cosa. La forza d’animo è necessaria per quando sei solo. Gli amici, ovviamente, sono stati fondamentali. Ho ricevuto alcune telefonate bellissime, che sono state un’esplosione di energia».

Come procedono gli incontri con i medici?

«Torno tre volte a settimana a fare fisioterapia, per tre ore ad incontro, al San Raffaele. Devo ringraziare il direttore generale Alessio Cicirelli, il professor Carlo Damiani e la dottoressa Annalisa Gison che prestano grande cura ai miei problemi per permettermi di tornare presto a una vita il più possibile normale. Il resto del tempo lo dedico comunque ad allenarmi. Ho un passato da atleta, so cosa fare per far tornare i muscoli. E per reagire. So quanto sia importante fare un adeguato lavoro psicologico, perché tornare fuori mette ansia, si è soli».

In che modo si “allena” la mente?

«Prima di tutto, devi accettare quello che ti è successo, anche se fa male. Si deve essere felici di essere vivi. Ed è necessario farsi aiutare, non si può fare tutto da soli, occorre rivolgersi agli amici. Confrontarsi con gli altri è fondamentale. Non si deve provare imbarazzo. L’allenamento, anche emotivo, deve essere costante. A dirla tutta, il sogno ora sarebbe fare una vacanza, senza telefono».

Intanto, fa i conti con la protesi.

«Quella provvisoria ha sempre una gestione difficile, ma la definitiva che risolverà tutti i problemi arriverà a breve e per questo devo ringraziare il dottor Francesco Mattogno dell’ITOP, nonché Daniele e Gianluca, i miei protesisti».

Si prepara a tornare al lavoro?

«Sì, vedo finalmente il rientro vicino, sarà graduale, ma da un paio di settimane ho ripreso le macchine fotografiche in mano e presto andrò a fotografare tanti amici che fanno sport e che mi sono stati vicini. La mia salvezza, in tutto questo tempo, è stato non avere fretta. Però mi sono già attrezzato: ho fatto fare alcuni abiti e camicie su misura».

Le macchine fotografiche le sono mancate molto?

«Ci ho pensato ogni giorno, tornare a usarle significava tornare ad essere me stesso. Non ho mai smesso, però, di fare foto, ho usato il cellulare. I primi scatti con la macchina li ho fatti in casa, non era importante il soggetto, contava solo il rumore dell’otturatore o, nelle macchine di nuova generazione, non sentire nulla ma riavere in mano gli obiettivi. Avevo bisogno di riprendere le cose della mia vita».

Adesso, cosa ama fare in casa?

«Dormire senza l’inquinamento acustico dell’ospedale e cucinare pasta al dente. In realtà, da quando ho avuto l’incidente, la mia agenda è fitta come quella di Mattarella (ride). Ogni giornata è scandita da appuntamenti: la fisioterapia, il medico e via dicendo. Penso sempre a Francesca Antonini, capitano e ortopedico dell’Esercito del Policlinico Militare Celio. Il mio angelo. Mi ha salvato la vita, permettendomi di essere qui, ora, a raccontare la mia storia». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA