Cure palliative, una delicata missione: centrale nella medicina e finanziata dal PNRR

Dal 2028 le Asl saranno chiamate a prendersi in carico il 90% dell'assistenza di chi è gravemente malato

Cure palliative, una delicata missione: centrale nella medicina e finanziata dal PNRR
di Gino Gobber*
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Giovedì 8 Febbraio 2024, 06:05 - Ultimo aggiornamento: 08:28

Cresce costantemente la domanda relativa a cosa sono le cure palliative.

Una recente ricerca dell’istituto Ipsos per conto della fondazione Vidas ha fatto emergere l’accresciuta consapevolezza rispetto alle cure stesse: oggi in Italia la quota di chi non ha mai sentito parlare di cure palliative è passata dal 41% di un’analoga indagine del 2008 all’attuale 6%. Parallelamente è aumentato il grado di conoscenza di questa modalità di cura: nel 2008 il 24% si dichiarava poco o abbastanza informato, ora il 54% dice di sapere bene di cosa si tratta. È un aumento importante, anche se non ancora sufficiente. Lo studio ci offre anche altri spunti di riflessione. Il primo è che esiste ancora una fetta rilevante di popolazione (il 18%) che considera le cure palliative «inutili o “naturali” o alternative alla medicina tradizionale». Il secondo, fortunatamente, è la sempre più diffusa convinzione che si occupino di migliorare la qualità di vita di persone gravemente malate e delle loro famiglie. Da un lato, quindi, dobbiamo far conoscere meglio quello che facciamo, anche ai medici, e dall’altro affermare che sono stati numerosi i passi in avanti compiuti da quando, alla fine degli anni ‘80, si è iniziato a parlare di cure palliative. Prima, però, è bene ammettere alcune cose. Anzitutto il settore nel quale lavoriamo può non avere, ad esempio, l’appeal di altre specialità come la chirurgia di eccellenza, dove ci sono importanti investimenti tecnologici.

La nostra disciplina è destinata ad accompagnare le persone nell’ultimo tratto della loro vita. È comprensibile, quindi, che un giovane medico, psicologo, infermiere, operatore sanitario, si attenda altro dalla sua professione. Al tempo stesso il mondo accademico, da sempre, si occupa di pazienti acuti, mentre con il passare del tempo assistiamo a maggiori bisogni da parte di chi ha malattie croniche. Se aggiungiamo che l’opinione pubblica preferisce temi meno impattanti rispetto a quelli che sono legati al fine-vita, è chiaro che il nostro ruolo è stato destinato, almeno finora, a rimanere poco visibile Molto è cambiato, però, da quando Vittorio Ventafredda, anestesista e direttore sanitario dell’Istituto nazionale tumori, ha importato dal mondo anglosassone il concetto di “palliative care” alla fine degli anni ‘80 e ha trovato nell’industriale Virginio Floriani un importante alleato, il quale si era reso perfettamente conto che i bisogni dei malati in fase terminale rimanevano senza adeguata risposta. Siamo partiti da una indubbia posizione di difficoltà ma abbiamo progressivamente ottenuto ritorni e riconoscimenti molto importanti - su tutti la legge 38 del 2010 che istituisce le cure palliative – da due anni esiste una specializzazione all’università, e oggi siamo centrali nella cura dei malati. Il decreto ministeriale 77 del 2022 che riforma l’assistenza territoriale è chiarissimo nell’indicare il modello delle Reti di cure palliative, come vincente anche per la presa in carico della cronicità e della fragilità. Un modello fatto di rete, lavoro di équipe, multiprofessionalità e competenze, in grado di coinvolgere il terzo settore e gli stakeholder, a partire dai familiari del paziente. Non a caso le Asl sono chiamate, entro il 2028, a prendere in carico il 90% delle persone con necessità di cure palliative.

Adesso ci sono le risorse per stabilizzare il personale, grazie al Pnrr.  Mi viene chiesto di frequente cosa sono le cure palliative. Mi soccorre la definizione dell’organizzazione mondiale della sanità: «L’assistenza globale, attiva, di quei pazienti la cui malattia non risponda ai trattamenti curativi. È fondamentale affrontare e controllare il dolore, gli altri sintomi e le problematiche psicologiche, sociali e spirituali. L’obiettivo delle cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita per i pazienti e le loro famiglie». Ci occupiamo di questo, assistendo chi ha bisogno con cure inclusive e partecipate: il medico di famiglia è il primo riferimento clinico, l’infermiere è l’operatore che più di frequente va al domicilio delle persone assistite, il naturale “case manager”, il medico palliativista garantisce le competenze specialistiche e si occupa della gestione del processo. Cerchiamo di fare tutto questo con la necessaria empatia, comprendendo cioè lo stato d’animo di chi abbiamo di fronte, stando dalla sua parte ma senza rischiare di essere travolti dalla partecipazione emotiva. È la cosa più difficile e delicata del nostro lavoro.

  *Presidente della Società italiana  di cure palliative 

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